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Il laboratorio di Jules Michelet. Storia, tempo e immaginazione. Un saggio di metodologia – 2001

Achille Olivieri
Milano, Unicopli, pp. 200, euro 12,91

Anno di pubblicazione: 2001

Collocandosi nel filone di una ricchissima letteratura critica che annovera le interpretazioni di Febvre e di Barthes, le indagini di Paul Viallaneix e, da ultimo, le suggestive analisi di Arthur Mitzman, il libro si cimenta con una nuova definizione del ? di Michelet, ovvero della sua metodologia storica: metodologia le cui innovazioni, sul piano delle categorie e del linguaggio, appaiono ad Olivieri, che insegna Storia della storiografia all’Università di Padova, così dirompenti che egli non esita a porle all’origine della ?nuova storia? del Novecento, e in particolare della storia dei gruppi sociali e delle sensibilità e mentalità collettive.
Il discorso si enuclea intorno ad alcuni temi: la funzione della dimensione ?onirica? della storiografia micheletiana; le sue modalità di periodizzazione e l’intreccio che vi si attua tra tempo sociale e tempo della memoria, o dei simboli; il problema delle mobilità sociali e del rapporto città-campagna. Ad elucidare ciascuno di questi temi vengono da una parte analizzati testi assunti come particolarmente significativi (si segnala tra questi una sorta di autobiografia metodologica, coeva e complementare della celebre prefazione del 1869 all’Histoire de France, pubblicata per la prima volta nel 1973 da Viallaneix, col titolo L’héroisme de l’esprit). Dall’altra, vi si ricostruisce intorno una fitta trama di richiami, secondo un’?archeologia del sapere? ispirata alla convinzione che, come è per il tempo lungo della storia sociale, non si debba ?prescindere dalle lunghe durate, segrete, profonde della storia degli immaginari e delle culture? (p. 42). E così, per dare un solo esempio, ad illustrare la dimensione onirica della storiografia micheletiana, viene evocato, insieme a molti altri, il nome di Artemidoro e il suo Libro dei sogni, scritto nel II secolo dopo Cristo. Non di un problema di trasmissione culturale in senso stretto tuttavia si tratta, sebbene sia difficile, in questo come in altri casi, sottrarsi all’impressione che sia proprio questa l’indicazione data dall’autore: quanto di un procedimento analogico, utile a mettere in luce un sostrato antropologico e delle permanenze culturali, e che si rivela a tratti assai suggestivo.
La mappa che disegna Olivieri è però troppo vasta ? e troppo grande l’ambizione di questo breve libro, al quale non giova una stesura a dir poco affrettata ? perché ci si senta persuasi. Molte delle traiettorie culturali qui appena abbozzate meriterebbero di essere approfondite, e così pure si dovrebbero ricostruire concretamente alcuni dei percorsi della storiografia otto-novecentesca (Michelet-Burckhardt-Droysen; Michelet-Croce; Michelet-Febvre-Braudel) che l’autore ipotizza. Tanto più il lavoro meriterebbe di esser fatto in quanto ne risulterebbe senza dubbio rafforzata l’ipotesi, da cui Olivieri si è mosso, della radicale forza innovatrice della storiografia di Michelet, inventore degli oggetti tematici e del vocabolario stesso della storiografia novecentesca.

Regina Pozzi