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Sindacati in Europa. Storia, modelli, culture a confronto – 2002

Adele Maiello
Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino, pp. 403, euro 25,00

Anno di pubblicazione: 2002

Tracciare una storia comparata dei movimenti sindacali sorti in Italia e in tre importanti realtà europee, quella britannica, quella tedesca e quella francese, è una sfida che l’autrice ha affrontato con determinazione e superato in modo apprezzabile. Quella storia è ripercorsa, dalle origini ad oggi, dapprima esaminando partitamente i quattro casi nazionali e poi riconsiderata sinteticamente e problematicamente in un capitolo finale. Ne risulta un testo assai ampio e denso di informazioni e di valutazioni, che riflettono una conoscenza diretta della storiografia e in parte anche della riflessione sociologica in materia di relazioni industriali. Al centro della narrazione si collocano le organizzazioni sindacali dei lavoratori, ma costante è lo sforzo per richiamare il contesto economico, sociale ed istituzionale. Ciò deriva da una scelta metodologica chiaramente enunciata, quella di fare perno sul concetto di ?classe?, inteso ? in sintonia con Ira Katznelson ? come il soggetto costituito nell’interazione tra strutture, modi di vita, culture e azione collettiva. Su questa base, la formazione del movimento sindacale è riportata al mutare delle condizioni produttive non meno che alle caratteristiche del sistema istituzionale o ai rapporti generali tra le classi sociali. Così, la narrazione segue sostanzialmente un criterio cronologico, con una particolare attenzione alla fase formativa del movimento, quindi agli esiti della seconda rivoluzione industriale nei decenni precedenti la prima guerra mondiale, infine agli anni della ricostruzione dopo il 1945, mentre, con sorpresa, si sfuma sugli anni Sessanta e Settanta, proprio quelli del fordismo maturo. Ma, dentro quella progressione cronologica ? che solo per il periodo finale si slarga a considerare distintamente le strutture organizzative, l’affiliazione, i contenuti rivendicativi ? quel metodo consente di individuare le peculiarità dei percorsi nazionali, rintracciando, tra l’altro, le ragioni della primogenitura britannica, delle diverse articolazioni ideologiche ed organizzative e delle variegate modalità di rapporto tra organismi sindacali e organizzazioni. Al fondo vi è la convinzione che la storia del movimento sindacale sia mossa da un sostanziale principio unitario, a sua volta intimamente connesso alla unitarietà dello sviluppo capitalistico e che, dunque, la molteplicità dei percorsi nazionali rispecchi il dispiegarsi di quello sviluppo in relazione ai diversi contesti sociali ed istituzionali.
E’ un’interpretazione forte e, nelle sue linee generali, condivisibile e apprezzabile per la ricerca di una chiave di lettura comune, capace di restituire nel lungo periodo sia le peculiarità nazionali sia il movimento internazionale e, su un altro versante, di non ridurre la storia del movimento sindacale alle contingenze delle relazioni ‘industriali’. D’altra parte, non sorprende ? ma non potrebbe essere altrimenti ? che questo approccio storiografico, consolidatosi in ambito internazionale tra gli anni Settanta e Ottanta, si dimostri meno capace di rispondere agli interrogativi che, pur di diversa provenienza, meno convergono con la centralità euristica della ?classe?: da quelli che rimarcano le fratture di genere o generazionali, a quelli che ridimensionano il valore identitario della condizione operaia, a quelli che accentuano il rilievo dei processi di integrazione sociale o il ruolo del sindacato nella costruzione della ‘cittadinanza’.

Simone Neri Serneri