Cerca

Aeroporto di Forlì settembre 1944. La grande strage di ebrei e anti- fascisti

Vladimiro Flamigni
Cesena, Il Ponte Vecchio, 166 pp., € 13,00

Anno di pubblicazione: 2015

Al centro della ricostruzione di Vladimiro Flamigni sono le «stragi» consumatesi per mano nazista all’aeroporto di Forlì, nel settembre del 1944, «una “soluzione finale” di stampo locale […]» (p. 15). Le stragi vennero scatenate nel contesto dell’approssimarsi degli alleati al territorio forlivese, la cui posizione era delicata per la sua dislocazione sulla linea Gotica, e il trasferimento progressivo dei membri della Sipo-Sd da Forlì a Bologna.
«Le prime esecuzioni avvennero il 5 settembre», su ordine di Carl Theodor Schütz (p. 41), che era stato dirigente della Sipo-Sd di Roma e che nel giugno 1944 venne trasferito, con larga parte del suo distaccamento, nell’Außenkommando di Forlì.
A essere colpite furono ventuno persone (ma almeno in un caso la documentazione restituisce la cifra di venti vittime), di cui dieci antifascisti e dieci ebrei. Prelevate alle 18,15 del 5 settembre dal carcere mandamentale della Rocca, queste vennero portate nel centro di raccolta di via Romanello, e, dopo altri passaggi intermedi, in due tempi diversi all’aeroporto: una parte venne uccisa alle ore 20,00 del 5 settembre e la seconda alle 5,00 del giorno dopo. Il secondo assassinio si verificò il 17 successivo e ne caddero vittime sette donne ebree, «madri, mogli e sorelle degli uomini fucilati il 5 settembre» (p. 49). L’ultima uccisione ebbe luogo il 25 settembre e colpì quindici persone, tra le quali c’erano oppositori politici ed ebrei.
A lungo il numero complessivo delle uccisioni consumate dai nazisti presso l’aeroporto di Forlì nel settembre del 1944 era stato impreciso e solo nel 1991, grazie agli studi di Gre- gorio Caravita, veniva ipotizzata la cifra, secondo l’a. corretta, di 42 uccisioni (pp. 12-13). L’a. si sofferma particolarmente sulla strage del 5 e del 6 settembre e avvalendosi di svariate carte d’archivio, attinte in primo luogo dal Public Record Office (ora National Archives) di Londra, ne ricostruisce minuziosamente tempi, luoghi, autori e vittime, senza mancare di fare riferimento alla mancata punizione, nel dopoguerra, dei responsabili delle stragi.
L’interesse dell’episodio risiede nella sua peculiare rielaborazione dopo il 1945 da parte delle agenzie della memoria e degli organismi istituzionali che se ne occuparono, quando le vittime, in un primo tempo ricordate in un memoriale eretto nel 1946, che accorpava univocamente oppositori politici ed ebrei, venne sostituito nel 1955 da una lapide meno precaria della precedente, una «stele in arenaria» (p. 9). Nel 1992 però gli ebrei furono rimossi «dai loculi anonimi dell’ossario» e seppelliti in un nuovo monumen- to funebre, che portava incisi i loro nomi. Nel 2007, a fianco di quel monumento ne sorse un altro, che accoglieva le spoglie delle restanti vittime, pur contenendo tutti i nomi degli assassinati (p. 10). Si dava inizio, insomma, a quella sorta di separazione delle memorie (ebraica e politica), che assieme a una necessaria distinzione categoriale dei perseguitati dal fascismo e dal nazismo avrebbe anche portato alla riduzione unidimensionale di iden- tità a volte assai complesse.

Giovanna D’Amico