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Al servizio del Reich. Come la fisica vendette l’anima a Hitler

Philip Ball
Torino, Einaudi, XI-290 pp., € 32,00 (ed. or. Chicago, The University of Chicago Press, 2014, trad. it. di Daniele A. Gewurz)

Anno di pubblicazione: 2015

Ball analizza, esaminandone gli intrecci e il rapporto col contesto generale, le vicende
di tre fisici: Peter Debye, un olandese la cui carriera si è svolta in realtà nel mondo accademico
tedesco; Max Planck, premio Nobel per la fisica nel 1918, a cui si deve la scoperta dei
quanti; Werner Heisenberg, premio Nobel nel 1932, a cui si deve la creazione della meccanica
quantistica. Si tratta di tre personaggi che rappresentano l’eccellenza scientifica del loro
mondo, ma che nei rapporti col nazismo non sono dei casi estremi di opposizione radicale
o di incondizionato consenso, e per questo rappresentano bene la «medietas» umana sulle
cui debolezze le dittature fanno spesso leva, e con cui tutti rischiano di doversi prima o poi
confrontare, magari per scoprirsi impari a mantenere un imperativo etico.
Il libro non contiene fatti nuovi sul tema del rapporto fra gli scienziati tedeschi e
il nazismo, già ampiamente esplorato dagli storici, soprattutto americani. Non è questo
del resto l’obiettivo di Ball, che vuole piuttosto sondare il rapporto tra il senso etico dei
singoli e i compromessi ai quali ci si deve piegare per convivere con un regime totalitario,
chiedendosi anche se gli uomini di scienza abbiano in questa prospettiva delle responsabilità
maggiori di quelle degli altri cittadini. In questo senso i dilemmi affrontati dagli
scienziati tedeschi durante la dittatura hitleriana non sono diversi da quelli affrontati dagli
scienziati sovietici durante lo stalinismo (più di una volta chiamati a paragone nel testo), o
da quelli italiani nel periodo fascista (sostanzialmente ignorati, a parte Enrico Fermi, che
però … «lavorava a Chicago», p. 130).
L’a. pone a se stesso e al lettore alcune domande, e offre un quadro problematico del
contesto in cui i fisici tedeschi fecero le loro scelte, in particolare quelle riguardanti l’atteggiamento
da tenere di fronte all’espulsione dei colleghi ebrei, o nella polemica che alcuni
fisici più legati al nazismo condussero contro la fisica teorica come «fisica giudaica», o
infine nel rapporto col programma nucleare tedesco durante la guerra. Il loro complicato
procedere per la strada stretta della convivenza col nazismo non si presta a giudizi netti di
fronte alle accuse che spesso sono state loro rivolte: «condannandoli o assolvendoli semplicisticamente
– scrive Ball – annulliamo la responsabilità per i dilemmi affrontati dalla
scienza e dagli scienziati, sempre e ovunque» (p. 258). E questa riflessione etica fondata
sulla storia, che nei capitoli conclusivi guarda anche oltre l’orizzonte temporale del nazismo
e oltre la vicenda dei fisici tedeschi, è l’aspetto più interessante del libro.
La dimensione problematica di questa riflessione, tuttavia, è contraddetta dal sottotitolo
ad effetto della traduzione italiana, che stravolge il significato del sottotitolo inglese
(The struggle for the soul of physics under Hitler), eliminandone il riferimento a un dilemma
morale non risolto, e mettendo in copertina proprio quel giudizio tranchant di cui il testo
nega la sensatezza.

 Giovanni Paoloni