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Alberto De Bernardi, Alberto Preti, Fiorenza Tarozzi (a cura di) – Il PCI in Emilia Romagna. Propaganda, sociabilità, identità dalla ricostruzione al miracolo economico – 2004

Alberto De Bernardi, Alberto Preti, Fiorenza Tarozzi (a cura di)
Bologna, Clueb, pp. 165, euro 14,00

Anno di pubblicazione: 2004

L’insieme degli agili saggi che compongono questo volume (scritti da Lorenzo Bertucelli, Giuliana Bertagnoni, Siriana Suprani, Luca Baldissara, Sandro Bellassai, Mirco Dondi, Andrea Baravelli) si inserisce a pieno titolo in un filone di studi ormai avviato, che guarda con attenzione al rapporto tra il Partito Comunista e i processi di trasformazione e di modernizzazione che investono l’Italia nel secondo dopoguerra. Questi studi appaiono caratterizzati da almeno tre fattori rilevanti. Il primo riguarda gli autori stessi, i quali appartengono, nel complesso, a una nuova generazione di storici capaci di riflettere su quella storia in modo non meno appassionato di chi li ha preceduti ma sicuramente con maggiore spirito critico, specie nei confronti dell’instabile equilibrio tra i modelli (che il PCI ha incarnato o costruito) e i miti che li hanno avvolti e accompagnati. Il secondo concerne l’approccio che unisce i temi tradizionali della storia politica a questioni che hanno conquistato un ampio spazio nel dibattito storiografico, anche in virtù della loro capacità di scardinare luoghi comuni e interpretazioni consolidate (dal problema della violenza insurrezionale ai rapporti con i mezzi di comunicazione di massa fino alla funzione dei riti laici come le feste dell’Unità). Il terzo è la dimensione locale dove si cerca di declinare le riflessioni e le ricerche che dalla seconda metà degli anni Novanta hanno investito la storia del Partito Comunista, coniugandole con le specificità locali. In tal senso lo studio del radicamento del PCI in Emilia Romagna ? in termini di quantità, di forme e di modi ? rappresenta un angolo visuale di particolare importanza. E ciò proprio perché in quella regione si osserva con maggiore evidenza come sia impossibile, dal punto di vista della ricostruzione storiografica, disgiungere i due poli del problema. Da un lato ci sono lo sforzo compiuto dal Partito per una normalizzazione postbellica e per la costruzione del ?partito nuovo?, l’operare quotidiano e concreto per la trasformazione della società a partire da una pratica di ?buon governo? locale (intesa anche come formazione di una classe dirigente) che si trasforma in modello nazionale, lo sforzo pedagogico di massa di fronte alle sfide che la modernizzazione della società pone. Dall’altro si trovano l’orizzonte palingenetico rivoluzionario e i conflitti all’interno del Partito (anziché l’ormai inutilizzabile categoria della ?doppiezza?), le contraddizioni e le difficoltà a leggere i nuovi bisogni e i nuovi consumi (dalla televisione al tempo libero), l’arretratezza e il ?bigottismo? di fronte alla partecipazione delle donne alla politica, all’amministrazione e alla costruzione del Partito. Modello e mito di un comunismo emiliano emergono quindi come elementi che si influenzano a vicenda, sia come stimoli sia come freni, e segni di un’identità che a partire dagli anni Sessanta ? termine ad quem di questa ricerca ? inizierà a ridefinirsi a partire da spinte sociali e politiche, nazionali e internazionali.

Bruno Maida