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Attentato e rappresaglia. Il PCI e via Rasella – 1999

Alberto ed Elisa Benzoni
Marsilio, Venezia

Anno di pubblicazione: 1999

Alberto Benzoni, vicesindaco del Comune di Roma tra il 1971 e il 1985, militante socialista non craxiano, autore di diversi saggi sulla storia del socialismo italiano, ha scritto, sulla vicenda di via Rasella, un volume a quattro mani, insieme alla figlia Elisa.
Il libro, basato esclusivamente sulla rivisitazione della ricca memorialistica esistente, muove da una tesi precisa: l’attentato di via Rasella va inserito nella “strategia politico-militare del Pci romano ad un tempo provocatoria e fallimentare”, mirante (siamo prima della svolta di Salerno) a “determinare le condizioni per un ruolo egemone dei comunisti all’interno di un’ipotesi insurrezionale che portasse la loro impronta” e quindi a trascinare “nel ciclo attentati-repressione i cittadini fino ad allora rimasti ai margini della lotta, in una posizione ostile sì ai nazifascisti ma sostanzialmente passiva”. In questo senso la rappresaglia poteva essere messa nel conto, se fosse servita a stimolare all’azione la popolazione e quanti, all’interno della Resistenza (in particolare a Roma, dove si confrontavano le possibili strategie dei vari gruppi: il Pci, Giustizia e Libertà, il gruppo di Bandiera Rossa, i socialisti, i monarchici) non condividevano la pratica del terrorismo urbano.
È una tesi indubbiamente revisionistica, come riconoscono gli stessi autori, pur respingendo quello che essi chiamano “revisionismo ideologico”. Ciò non toglie che oggetto della critica dei Benzoni rimanga l’autocensura che il Pci e la storiografia di sinistra avrebbero attuato nei confronti di via Rasella (anche se a p. 10 si afferma che, per la ricerca, è stato sufficiente materiale “pressoché integralmente proveniente dal movimento partigiano o da sensibilità politiche e storiografiche vicine alla Resistenza”). Una sorta di rimozione dovuta a due motivi: l’affermare una “separazione insensata” tra attentato e rappresaglia e la “necessità di conservare l’immagine della lotta di liberazione come fatto unitario, soprattutto nei confronti di tentativi di delegittimazione da parte fascista”. Resistenza e costruzione della memoria storica si incontrano. Proprio in questo ambito, una qualche perplessità desta l’ultima pagina del libro, nella quale viene data giustificazione dell’epigrafe iniziale: “a tutti i morti del marzo “44… E cioè a quelli delle Ardeatine, ma anche agli altoatesini del Bozen […]. Per la sorte che hanno subito, del tutto inconsapevoli, e per la condanna persecutoria, del tutto strumentale, di cui sono stati oggetto dopo morti […]. Nel loro caso non occorre scomodare grandi e impegnativi disegni di pacificazione nazionale e di rispetto per i valori delle opposte fazioni. Niente fascismo e antifascismo, né questioni ideologiche; non c’è niente da riconoscere. Basta un semplice gesto di pietà”. Se è lecito e necessario discutere della Resistenza in tutti i suoi aspetti, se si indaga sul significato di parole come “città aperta”, “guerra partigiana”, “rappresaglia”, più arduo è il tentativo di utilizzare un sentimento, la pietà, come categoria storiografica.

Giovanni Scirocco