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Alessandra Marani – Una nuova istituzione ecclesiastica contro la secolarizzazione. Le conferenze episcopali regionali (1889-1914) – 2009

Alessandra Marani
Roma, Herder, XXII-480 pp., Euro 95,00

Anno di pubblicazione: 2009

Il volume prende in esame il funzionamento delle conferenze episcopali regionali a partire dalla loro istituzione, voluta nel 1889 da Leone XIII, sino al termine del pontificato di Pio X. Pensate come uno strumento centrale per far penetrare nella prassi della Chiesa italiana un coordinamento amministrativo e pastorale, le conferenze episcopali regionali rappresentarono una novità di grande rilievo. La loro introduzione, tuttavia, non fu indotta dell’emergere, sia pure germinale, di una nuova ecclesiologia, ma dall’esigenza di adeguarsi al nuovo assetto politico-sociale creato nella penisola dalla nascita del Regno d’Italia, che imponeva il superamento della frammentazione amministrativo-pastorale delle singole diocesi. Si trattò cioè per la sede apostolica di creare un organismo che avesse la duplice funzione di raccolta delle informazioni dalla periferia al centro, e di applicazione a livello locale delle linee romane. L’introduzione di un elemento «nuovo» fu dunque finalizzata, come sottolinea l’a., a rendere più incisive le prospettive pastorali politiche intransigenti, miranti alla riconquista cattolica della società secolarizzata, all’interno di una ecclesiologia saldamente ancorata al modello tridentino.Attraverso un ampio scavo archivistico, l’a. ricostruisce, in particolare, le vicende di tre conferenze episcopali: quella della regione Lombardia, quella della regione Etruria e quella della regione Emilia, divisa a partire dal 1908 in regione Flaminia ed Emiliana. Nell’analisi di tali vicende la ricostruzione passa attraverso le questioni e i passaggi principali che coinvolsero il mondo cattolico italiano tra la fine dell’800 e i primi tre lustri del ‘900: la questione sociale, i timori legati all’urbanizzazione, il ruolo del laicato nella Chiesa, la partecipazione alla vita politica del Regno d’Italia, il modernismo.Le conferenze episcopali regionali lessero tali passaggi attraverso le lenti dell’intransigentismo e in obbedienza alla sede apostolica, ma non mancarono, di tanto in tanto, divergenze che costrinsero per la prima volta vescovi che neanche si conoscevano a discutere. In taluni casi l’approdo della discussione coincise con la marginalizzazione delle voci più aperte al cambiamento. Emblematica in tal senso la dissociazione della conferenza episcopale lombarda dalle posizioni di mons. Geremia Bonomelli o l’isolamento in cui venne a trovarsi il card. Pietro Maffi rispetto ai vescovi toscani, per il suo impegno nell’Unione popolare a fianco di Giuseppe Toniolo.Benché con questi forti limiti, l’istituzione di tali organismi, conclude l’a., «inserì all’interno della storia della Chiesa contemporanea l’esperienza – sia pur parziale e sempre problematica – dell’attenuazione del potere assoluto dell’ordinario nella diocesi» (p. 466).

Lucia Ceci