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Alessandro De Angelis – I comunisti e il partito. Dal ?partito nuovo? alla svolta dell’89 – 2002

Alessandro De Angelis
Prefazione di Mariuccia Salvati, Roma, Carocci, pp. 357, euro 25,00

Anno di pubblicazione: 2002

Cominciano a farsi luce, finalmente, studi e ricerche sulla storia del PCI non più ancorati a un panorama di conoscenze e di categorie monodisciplinari ma aperti a nuovi problemi, capaci di illuminare zone non ovvie nella ricostruzione dell’universo del comunismo italiano. Si tratta di una via opposta rispetto a quella praticata fino agli anni Ottanta che aveva condotto studiosi di scienze politiche interessati al PCI ad affacciarsi sul versante della storia (da Accornero a Caciagli, da Tarrow a Riccamboni) mentre gli storici non uscivano dal loro campo. Il mancato incontro del passato fra storia e scienze politiche aggiunge valore al fatto che oggi gli studi storici sul PCI si aprano su un terreno meno scontato.
La ricerca di De Angelis fa parte di questa nuova stagione e affronta la questione delle trasformazioni del profilo organizzativo del PCI nei termini della forma partito. Non si tratta, cioè, della ricostruzione della storia dell’organizzazione comunista né della sua descrizione in termini di sociologia politica, ma di una riflessione che parte dal riconoscimento della complessità della esistenza del PCI nel sistema politico italiano, dalla cultura dell’organizzazione propria del gruppo dirigente alla formazione di un sistema culturale, dai paradigmi legati al partito nuovo ai linguaggi dei programmi elettorali. Il libro si divide in tre parti: la prima discute del ?partito nuovo? e della teoria politica di Gramsci, la seconda della transizione del PCI verso la legittimazione e la difficile competizione col PSI; la terza è dedicata alla lunga agonia e all’estinzione del partito.
Il lessico intellettuale disseminato nel libro colloca il lavoro sul terreno della tradizione culturale comunista, ma l’autore sembra avere un piglio laico che gli consente di guardare con un certo distacco alla storia del partito e di formulare dei giudizi espliciti e non sempre rituali su diverse questioni: sullo stalinismo del PCI (p. 56) e sulle ambiguità della politica comunista che ?vive nell’autoconservazione dell’apparato e nel suo rinnovamento nella continuità? (p. 289), sulla ristrettezza culturale del gruppo dirigente come sull’?incapacità del partito di affrontare il tema della propria eredità? nel 1989 (p. 337). Il funzionamento e la cultura della ?macchina politico-organizzativa? del PCI vengono studiati attraverso la pubblicistica di partito e sulla base di buone letture in una cornice analitica ben disegnata. La discussione intensa e vivace della prima parte sul ?primato della politica? e sulla genesi della cultura organizzativa del PCI fa posto a pagine fortemente descrittive nella parte finale per quanto l’analisi degli Statuti ? fra il 1945 e il 1979 ? garantisca alla narrazione un filo coerente.
Rispetto a quando Giuseppe Are (che non risulta dall’indice dei nomi) sottolineava che le vicende del PCI erano conosciute ?come il PCI stesso le ha descritte, presentate, interpretate? (Radiografia di un partito. Il PCI negli anni ’70: struttura ed evoluzione, Milano, Rizzoli, 1980), il panorama è in parte cambiato: è sempre l’Istituto Gramsci a egemonizzare la ricerca sul PCI, ma il PCI non c’è più e la nottola di Minerva dà una migliore visuale.

Franco Andreucci