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Alessandro Portelli – America profonda. Due secoli raccontati da Harlan County, Kentucky – 2011

Alessandro Portelli
Roma, Donzelli, XXII-538 pp., Euro 35,00

Anno di pubblicazione: 2011

In questo libro confluiscono quarant’anni di ricerca di Portelli nel centro minerario di Harlan County (Kentucky), nel cuore di Appalachia, regione degli Stati Uniti distesa lungo l’omonima catena montuosa. Il corpus delle fonti orali è impressionante, con centinaia di interviste a varie generazioni di appalachiani di diversa razza, etnia, genere. L’a. approdò a Harlan la prima volta nel 1973, sugli echi della musica (Pete Seeger, Woody Guthrie, Aunt Molly Jackson e Jim Garland) attraverso la quale, sin dalla metà degli anni ’60, aveva scoperto la faccia nascosta del pianeta operaio statunitense. Harlan «diventò un punto di riferimento nella mia immaginazione», scrive Portelli, «in parte mitizzato ma carico di significato». Giunto a Harlan, però, egli si rese conto che le sue «fonti di ispirazione» di musica militante non erano più presenti nella memoria viva di Harlan, da cui erano state esiliate sin dagli anni ’30. «Harlan era più complessa e contraddittoria di come l’avevo immaginata – e questo non fece che aumentare […] il mio desiderio di saperne di più» (p. XI). Ecco allora l’inizio di un’appassionata frequentazione fra le due sponde da parte di uno studioso alle prese con gli eterni problemi dello «stare là, scrivere qua», del come scivolare in una comunità offrendo in cambio la propria «ignoranza» e il proprio «desiderio di imparare», conscio della natura dell’intervista «come un esperimento di uguaglianza che non consiste nel fingersi tutti uguali ma nel mettere in campo la differenza e la disuguaglianza facendone […] il tema implicito del dialogo». Una consapevolezza, questa, che non deriva all’a. dai manuali, ma dall’incontro con Julia Cowans, nipote di schiavi, che gli dice: «E ti dico che effetto fa una cosa simile: anche se tu non mi hai mai fatto niente, ma perché sei bianco, a causa di quello che mi hanno detto i miei genitori…Non mi fido di te, capisci» (p. XV). Autobiografia di un ricercatore, oltre che affresco di una regione e del suo lavoro, il libro ripercorre la struttura del lavoro nelle miniere, sullo sfondo delle alterne fortune dell’industria del carbone, un settore sospeso fra le piccole imprese a base locale e le grandi corporationsnazionali. Portelli ricostruisce la mappa sociale e culturale locale, materiata di minatori, farmers, imprenditori, proprietari terrieri, Chiese evangeliche, sezioni sindacali, eternamente combattuta fra la sottomissione ai poteri forti e l’incessante ricerca di forme di autodeterminazione comunitaria. Vi emerge come un basso continuo lo sforzo della gente di ricostruire «la fiducia in se stessi», «il rispetto di se stessi»: la sola base dalla quale, scrive Portelli, può ricominciare «la lotta per sopravvivere, magari per lottare un altro giorno» (p. 467).

Ferdinando Fasce