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Amedeo Osti Guerrazzi – Grande industria e legislazione sociale in età giolittiana – 2000

Amedeo Osti Guerrazzi
Paravia-Scriptorium, Torino

Anno di pubblicazione: 2000

La scelta della periodizzazione, in un lavoro di approfondimento monografico, non è mai casuale, ma è parte della strutturazione dell’oggetto d’indagine; in questo caso, lo è anche la sua designazione come “età giolittiana”. Sotteso all’impianto di questa ricerca è infatti l’obiettivo di valorizzare gli intenti riformisti del quindicennio governato dallo statista di Dronero, in particolare i tentativi di realizzare una “democrazia industriale” come le esigenze dello sviluppo e i contemporanei esempi europei indicavano. Il terreno della legislazione sociale (su cui si veda anche il recente E. Bartocci, Le politiche sociali nell’Italia liberale 1861-1919, Roma, Donzelli, 1999) viene quindi a rappresentare il punto cruciale di intersezione tra l’intervento regolatore dello Stato e i rapporti fra industriali e organizzazioni del movimento operaio, così come il suo franare coincide con il fallimento dell’esperimento giolittiano, per la contemporanea disaffezione della borghesia industriale – attratta dall’”azione diretta” – e lo speculare prevalere di orientamenti sindacalisti rivoluzionari.
Gli attori di questa vicenda sono almeno tre: gli industriali, il governo e le variegate forme di organizzazione sindacale e politica dei lavoratori. In tal senso, questo lavoro presenta tratti di impostazione sistemica che lo propongono come un importante capitolo della storia delle “relazioni industriali”, superando i confini di una lineare ricostruzione dell’atteggiamento della borghesia industriale verso le leggi sociali. Dell’atteggiamento, anzi della “prassi” come programmaticamente annunciato, ché le culture e le ideologie sono volutamente poste sullo sfondo. Anche se le stesse fonti utilizzate, con il largo ricorso alla pubblicistica, mostrano come i due aspetti fossero difficilmente scindibili.
I provvedimenti legislativi analizzati (il riconoscimento giuridico delle Camere del Lavoro, la tutela del lavoro femminile e minorile, il riposo settimanale, l’ispettorato del lavoro) sono scelti con cura, tenendo conto delle risultanze della ricerca. Un uso non fazioso della storiografia è peraltro fra i non piccoli meriti di questo lavoro, e consente di proporre una persuasiva periodizzazione del ruolo degli industriali nell’”occasione mancata” – come viene definita – della legislazione sociale. Da un primo favore verso i provvedimenti legislativi si passa alla scelta dell’organizzazione autonoma, poi ad una collaborazione con il sindacato, infine alla dura opposizione sia all’intervento statale che alla contrattazione: tale scansione incorpora dunque culture e ideologie entro le scelte strategiche imprenditoriali. In tal modo riproponendo consolidate acquisizioni storiografiche circa il peso della ritrovata unità degli industriali intorno al “privatismo conservatore” e all’ideologia della “libertà del lavoro”, all’opposizione ad ogni intervento statale non di diretto favore; riproponendo insomma il rifiuto degli industriali di riconoscere la necessità della mediazione come una componente essenziale della crisi del liberalismo.

Laura Cerasi