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Amori in causa. Strategie matrimoniali nel Regno d’Italia napoleonico (1806-1814)

Stefano Solimano
Torino, Giappichelli, 304 pp., € 30,00

Anno di pubblicazione: 2016

Nell’alveo degli studi dedicati al codice civile napoleonico, potente strumento forgiato dal geniale autocrate per riplasmare la società civile a immagine del nuovo Stato, spicca ora questo originale volume, basato su un’ampia documentazione inedita d’archivio, fonti edite e bibliografia specialistica di qualità. In una prevalente prospettiva storico-giuridica, corroborata da un’apprezzabile sensibilità per la storia delle istituzioni e della società, la ricerca s’incentra sulla delicata disciplina matrimoniale e – tale l’obiettivo programmatico dell’a. (ordinario di Storia del diritto medievale e moderno all’Università Cattolica di Milano) – sulla sua applicazione concreta, sulle conseguenze che produsse nei comportamenti e nelle mentalità di uomini e donne sudditi di Napoleone I re d’Italia.
Anche nei territori italiani, istituti quali il matrimonio civile e il divorzio suscitarono grande impressione ed effetti dirompenti. Attraverso le statistiche promosse dal ministro della Giustizia Giuseppe Luosi, artefice solerte di un adattamento uniforme del Code (all’epoca retoricamente presentato come moderna e sapienziale riedizione della legislazione romana), prende forma una casistica di «amori in causa» (cap. II, pp. 49-121), ossia di cause promosse per ottenere il divorzio (per mutuo consenso o a causa di sevizie e ingiurie gravi, di adulterio, di condanna a pena infamante) oppure, secondo le possibilità e le strategie più convenienti, la separazione o l’annullamento. Tra il 1806 e il 1814 presso le istanze giudiziarie italiche si registrarono 130 procedimenti per divorzio, buona parte dei quali concentrati a Venezia (il che è spiegato in base a una risalente prassi locale in tema di separazione). Ne risultarono 60 divorzi effettivi. Al contempo si contano 71 domande di separazione (45 accolte) e 56 di annullamento (33 accolte). Numeri piccoli, certo, ma non insignificanti come una storiografia datata aveva ipotizzato.
Come la politica del diritto napoleonica passasse «attraverso l’applicazione delle norme del codice civile, ma talora anche per mezzo della sua disapplicazione» (p. 156) è bene esemplificato nel cap. III, dedicato alle «unioni impossibili»: quei matrimoni che continuavano a offendere il senso morale comune suscitando scandalo e malcontento. Così, per via amministrativa (ma densa di valenze politiche), con circolari interne a mpiegati e funzionari si impedirono le unioni interrazziali tra bianchi e neri e si ostacolarono le nozze tra ex religiosi cattolici e tra cristiani ed ebrei, che pure il codice non proibiva; o tra giovani in età di coscrizione e anzianissime signore, connubi volti a ritardare la partenza nelle armate.
L’a. neppure trascura di porre in luce l’azione dei vescovi in carica, i quali «costituivano uno dei più controllati e asserviti strumenti del neogiurisdizionalista stato napoleonico» (p. 174); azione fondamentale per l’esatta applicazione delle norme codicistiche sul matrimonio civile, che doveva precedere quello religioso, specialmente con il controllo esercitato sui parroci, peraltro non sempre inclini all’obbedienza cieca.

Emanuele Pagano