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Andrea Colli – Legami di ferro. Storia del distretto metallurgico e meccanico lecchese tra Otto e Novecento – 1999

Andrea Colli
Meridiana Libri, Catanzaro

Anno di pubblicazione: 1999

Partendo da un retroterra teorico abbastanza consolidato – quello delle indagini socioeconomiche sul “distretto industriale” – il libro di Colli si propone come contributo di ricerca storica, mediante l’osservazione di dinamiche di lungo periodo in chiave locale. Dimostrare quanto la storia conti, nell’accezione northiana del rapporto tra forze di mercato e vincoli istituzionali, è ciò che giustifica metodologicamente la ricerca, che si dipana attraverso una molteplicità di piste, incrociando dati sulla produzione, composizione delle aziende, dinamiche di mercato, tecnologie con indagini sulle reti di relazioni fra gli individui, conflitti, identità culturali. Il che costituisce, per chi voglia addentrarsi nell’analisi dei “distretti”, una sorta di percorso obbligato, considerando la natura largamente “non economica” di questo tipo di sviluppo, basato sulla diffusione di comportamenti cooperativi e su tradizioni di lavoro autonomo. L’a. si giova di una buona disponibilità di fonti locali. Dall’archivio parrocchiale di Laorca a quelli del comune e Musei Civici di Lecco, alle biblioteche di Lecco e Como, oltre naturalmente ai fondi degli archivi di Stato, le informazioni raccolte riguardano, tra l’altro, dati sulla composizione delle ditte, sulla gestione consortile delle acque del Gerenzone, sulla composizione socio-professionale e i comportamenti nuziali, sulle vertenze giudiziarie locali, sulle vicende particolari dell’impresa Badoni e sulla cronaca locale in genere. Le conclusioni vanno nel senso di una conferma delle tesi care alla più recente letteratura sui distretti. Le inefficienze relative del sistema di piccola impresa (frammentazione delle unità produttive, bassi investimenti, scarsità di capitali circolanti, basso uso di forza motrice e meccanizzazione) si trasformerebbero in fattori di eccellenza del distretto grazie sostanzialmente ai vantaggi di natura istituzionale offerti dal territorio: forme di regolamentazione della concorrenza interna, una elevata capacità di associazionismo imprenditoriale, il ruolo regolativo svolto dalla Camera di Commercio e dalle istituzioni locali (scuole tecniche, rappresentanza degli interessi “di distretto” a livello politico). Tutto ciò spinge l’a. a parlare di un “patrimonio genetico collettivo” che impregnerebbe di una identità culturale forte la comunità dei produttori fornendole la spinta a perseguire una sorta di path dependency organizzativa di successo. Scarsa importanza viene data invece alle connessioni con il mercato e in definitiva agli input provenienti dall’esterno (dinamiche della domanda di manufatti e dell’offerta di materie prime, avvenimenti politico-istituzionali, politiche economiche a livello statale e internazionale). Anche l’innovazione, sebbene presente in alcune imprese leader (Falck, Redaelli, Badoni, Aldeghi), risulta in definitiva svolgere un ruolo contraddittorio, a causa delle resistenze che il contesto locale oppone a comportamenti imputati di sconvolgere assetti ed equilibri “tradizionali”.

Stefania Barca