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Andrea Zannini – Tonache e piccozze. Il clero e la nascita dell’alpinismo – 2004

Andrea Zannini
Torino, CDA & Vivalda Editori, pp. 214, euro 10,00

Anno di pubblicazione: 2004

Il libro, un’agile e piacevole riflessione sintetica sulle origini dell’alpinismo, è pubblicato nella collana ?Tascabili? di una casa editrice specializzata sulla montagna e i relativi sport. Questo editore ha già fatto uscire interessanti lavori che cercavano di superare la tradizione un po’ autoreferenziale che, di norma, ha caratterizzato la saggistica sull’alpinismo.
Il lavoro in questione, pur nello spirito divulgativo, è un prezioso contributo alle ricerche, riflessioni, approfondimenti (Mestre, Pastore, Durissini, Ambrosi e Wedekind, ecc.) che oggi cercano di innovare la riflessione storica attorno alle origini culturali, ai significati sociali e alle implicazioni politiche di quest’attività di loisir e sportiva assai particolare. In questo contesto, il lavoro intende evidenziare i limiti della ricostruzione tradizionale sulle origini dell’alpinismo, svelandone molte componenti ideologiche e false rappresentazioni. In particolare, mette in discussione un’idea e una visione pacificate dell’alpinismo, che si definisce, quanto a modelli culturali e sistemi normativi, a partire dalla lettura cittadina (fondamentalmente borghese e laica) della montagna e del suo paesaggio sociale e ambientale, secondo una sequenza originaria che va dallo scientismo illuministico settecentesco (De Saussure), passando per il Romanticismo (da Rousseau a Ruskin), per finire con l’invenzione dello spazio montano come ?terreno di gioco? del gentleman inglese e poi europeo (Stephen).
In realtà, nel corso dell’800, questa concettualizzazione dei valori dell’alpinismo ha derubricato dalla storia il ruolo della società rurale locale, talvolta idealizzandola, tal altra marginalizzandola. Viceversa, l’autore mette bene in mostra come già nel ‘700 i valligiani, le componenti sia popolari, sia borghesi e/o colte della società alpina, sviluppassero un interesse verso l’alta montagna e le vette che non era quello tradizionale, utilitaristico (dal bracconaggio alla ricerca di minerali), e che solo in parte si sposava con la passione per la scoperta scientifica e geografica, ma che già presentava in sé molti degli stilemi culturali dell’alpinismo sportivo. Fra queste figure di valligiani, borghesi e professionisti (ma anche cacciatori, contadini, ecc.), spiccano per numero e qualità i sacerdoti, che spesso nelle prime imprese alpinistiche svolgono un ruolo promotore e d’azione prevalente. Dalla definizione dei confini della comunità locale (le croci di vetta) fino alla partecipazione al clima scientista dell’epoca (osservazioni barometriche e topografiche), dalla nuova sensibilità estetica e spirituale rispetto all’ambiente naturale fino al travaglio delle vicende politiche, i molti preti (d’origini borghesi o popolari) visti nel libro segnalano, su tutto l’arco alpino occidentale e orientale, un’idea anche ludica e proto-alpinistica della montagna, un punto di vista valligiano sul loisir che verrà diminuendo alla metà dell’800 a seguito dell’oscuramento cittadino a danno dell’alpinismo autoctono. Se tutto questo processo è ben documentato nel libro, resta tuttavia aperto il problema per cui comunque l’alpinismo moderno è stato un’acquisizione fondamentalmente cittadina, da cui la stessa cultura della montagna è uscita trasformata.

Pietro Causarano