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Andreotti e l’Italia di confine. Lotta politica e nazionalizza- zione delle masse (1947-1954)

Paolo Gheda, Federico Robbe
Milano, Guerini e Associati, 279 pp., € 24,50

Anno di pubblicazione: 2015

L’agile volumetto si inserisce nel filone di studi stimolato dall’apertura al pubblico dei fondi documentari dell’Ufficio per le zone di confine, ora conservati presso l’archivio della Presidenza del consiglio. Il libro focalizza il suo interesse su Giulio Andreotti, cui nel giugno del 1947 venne affidata la responsabilità politica del nuovo Ufficio, posto alle dirette dipendenze della Presidenza del consiglio. Per l’appena ventottenne sottosegretario di De Gasperi si trattava del primo incarico di elevato spessore e lo svolse con grande pun- tigliosità, non scevra – sottolineano gli aa. – da alcune rigidità probabilmente connesse proprio all’inesperienza.
Le espressioni chiave che gli aa. utilizzano per definire l’azione di Andreotti sono tre: interesse nazionale, responsabilità e sinergia con la Chiesa cattolica. Per «interesse nazio- nale» fondamentalmente s’intende quella «difesa dell’italianità» che costituiva il mandato primo dell’Ufficio, variamente declinato all’interno di realtà fra loro molto differenti. Il libro passa così in rassegna le diverse tipologie d’intervento: sostegno diretto ad alcune formazioni politiche locali, ovvero a gruppi interni alle stesse forze politiche; creazione di strumenti di consenso, che andavano dalla costruzione di un capillare reticolo associativo al finanziamento alla stampa; gestione degli elementi considerati ostili, come i «rioptan- ti» dell’Alto Adige. Al riguardo, gli aa. pongono in luce il «pragmatismo» di Andreotti, che lo portava spesso a sostenere le componenti nazionalmente più intransigenti, fino a concedere l’aiuto dello Stato a formazioni di estrema destra, considerate utili alla causa nonostante il diverso avviso dei partiti democratici in sede locale.
Parlando invece di «responsabilità» gli aa. si riferiscono al tentativo compiuto da An- dreotti di ricondurre all’interno di una prassi di buona amministrazione l’enorme flusso di finanziamenti erogato dall’Uzc, fonte di notevolissimi sprechi da parte dei destinata- ri. Ne derivarono tensioni non lievi con le classi dirigenti locali, largamente bisognose dell’intervento governativo ma al tempo stesso riluttanti non solo a documentare le spese, ma anche a svolgere un ruolo subordinato nell’elaborazione delle strategie politiche per le aree di loro competenza. La Chiesa cattolica infine costituì uno dei riferimenti privilegiati per l’opera di nazionalizzazione condotta dall’Ufficio. Esemplari al riguardo appaiono il «piano campanile» in Alto Adige e lo stretto rapporto con il vescovo di Trieste, mons. Santin.
Il pregio maggiore del volume sta probabilmente nella sua capacità di considerare tutti i contesti di attività dell’Uzc: dalla Valle d’Aosta, al Trentino Alto Adige, alla Venezia Giulia, compresa la zona B del Territorio libero di Trieste sotto amministrazione militare jugoslava. Per altro verso, la focalizzazione pressoché esclusiva su Andreotti rischia di lasciare un po’ in ombra il ruolo degli apparati burocratici, a cominciare da un funzio- nario del calibro di Silvio Innocenti, direttore e probabilmente autentico protagonista dell’attività dell’Uzc.

Raul Pupo