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Andreotti, Gheddafi e le relazioni italolibiche

Massimo Bucarelli, Luca Micheletta (a cura di)
Roma, Studium, 275 pp., € 26,50

Anno di pubblicazione: 2018

Il volume curato da Massimo Bucarelli e Luca Micheletta, docenti di Storia delle relazioni
internazionali rispettivamente all’Università del Salento e alla Sapienza, si colloca
nel punto di incontro di due processi: il crescente interesse storiografico per l’evoluzione
dei rapporti italo-libici e la recente disponibilità dell’archivio Giulio Andreotti depositato
all’Istituto Luigi Sturzo di Roma. Frutto di questa convergenza, i sei saggi raccolti
nel volume analizzano da diverse prospettive e lungo segmenti temporali disomogenei il
complesso rapporto che Andreotti costruì con la Libia di Gheddafi. Dalla impressionante
longevità politica – presidente del Consiglio (1972-1973), ministro della Difesa (1974),
di nuovo presidente del Consiglio (1976-1979), ministro degli Esteri (1983-1989), ancora
presidente del Consiglio (1989-1992) –, Andreotti modificò nel tempo i caratteri
della strategia italiana verso Gheddafi rimanendo tuttavia fedele ad alcuni parametri: da
un lato la necessità di mantenere sempre aperto un canale di dialogo con Tripoli, perché
troppo imponente era il dato geografico, politico ed economico per consentire ingessanti
rigidità; dall’altro la convinzione che il leader libico fosse un interlocutore indispensabile
nella ricerca di una effettiva stabilizzazione del quadro mediterraneo.
Partendo da queste premesse, i saggi offrono, dei rapporti fra Roma e Tripoli, una
lettura caleidoscopica che rende la ripetizione di alcuni passaggi (come gli incontri tra
Andreotti e Gheddafi del febbraio e del luglio 1984) pienamente giustificata. Così, se
Micheletta analizza in un’ottica di lungo periodo l’attenzione di Andreotti per Gheddafi,
scegliendo di far concludere la trattazione con l’operazione americana El Dorado Canyon
del 1986, Bucarelli raccoglie il testimone dal co-curatore e, nel ripercorrere le tappe
dell’esacerbarsi della «ossessione» libica di Reagan, insiste sui (vani) tentativi italiani di
frenarne gli sviluppi. Di lunga gittata sono anche il contributo di Viviana Bianchi, che
coglie nell’accordo firmato nel 2008 dal colonnello e da Berlusconi il segno della continuità
con la politica andreottiana, e il saggio di Silvio Labbate su Le relazioni petrolifere
italo-libiche alla fine della Guerra fredda, il cui titolo non rende giustizia al respiro di una
narrazione che parte dagli anni ’50 e dedica agli anni ’90 e 2000 le quattro pagine delle
Conclusioni. Luigi Scoppola Iacopini e Augusto D’Angelo riflettono invece rispettivamente
sul peso esercitato nei rapporti bilaterali da un ingombrante passato (remoto e prossimo)
e sull’attenzione continuativa con cui Andreotti guardò all’evoluzione del dialogo
tra la Santa Sede e Tripoli, dal nuovo approccio all’islam della Chiesa postconciliare allo
stabilimento delle relazioni diplomatiche nel marzo 1997.
Alla luce di analisi così puntuali e persuasive, suona un po’ bizzarra la solitaria reticenza
di Scoppola Jacopini nel riconoscere ad Andreotti la qualifica di statista (p. 204):
visione d’insieme e di lungo periodo paiono tutt’altro che carenti nella sua azione, anche
quella rivolta alla Libia di Gheddafi: questo volume lo mostra con nitidezza.

Bruna Bagnato