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Angela Nuovo (a cura di) – Virginia Carini Dainotti e la politica bibliotecaria del secondo dopoguerra – 2002

Angela Nuovo (a cura di)
Roma, Associazione italiana biblioteche, pp. 210, euro 20,66

Anno di pubblicazione: 2002

Il volume raccoglie gli Atti del Convegno che, con identico titolo, si tenne ad Udine l’8 e il 9 novembre del 1999. L’interesse per i saggi che vengono presentati non si esaurisce nell’ampio ritratto prosopografico di Virginia Carini Dainotti, una delle figure più rappresentative della professione bibliotecaria in Italia (ne è testimonianza l’ampia bibliografia dei suoi scritti che correda il volume), ma risiede anche nella ricostruzione del dibattito biblioteconomico che ha attraversato il nostro paese dalla caduta del fascismo agli anni Novanta del secolo scorso.
Gli aspetti essenziali di tale dibattito, richiamati segnatamente da Paolo Traniello, sono individuati nel progressivo affermarsi in Carini Dainotti dell’idea di biblioteca di pubblica lettura che presupponeva il superamento della frammentazione insita nel concetto di biblioteche popolari; l’affermazione, anche per l’Italia, dei sistemi bibliotecari; la visione positiva di coordinamento e promozione, e non soltanto gerarchica amministrativa, del rapporto tra amministrazione centrale dello Stato e amministrazioni locali. In tal modo Carini Dainotti mostrava piena ricettività nei confronti di quella letteratura professionale di tradizione anglosassone che faceva fatica ad essere recepita in Italia, pur nelle mutate condizioni ideali, civili e politiche del secondo dopoguerra.
Tale modernità di concezione aveva modo di manifestarsi sui temi, contrappuntati nel saggio di Alberto Petrucciani, della professionalità e della deontologia bibliotecaria: diritto all’informazione come ?diritto di accesso ad una pluralità di informazioni?; concezione del bibliotecario non come depositario di verità, ma come ingeneratore di dubbio da cui far discendere un codice deontologico incardinato sulla mancanza di ogni discriminazione e sulla imparzialità dell’istituto bibliotecario. In tal modo la biblioteca (ma qui siamo già negli anni Sessanta, alla vigilia della svolta regionalista del 1970) finiva di essere o segmento educativo riservato ai ceti ?deboli? e/o portatori di valori ?alternativi?, o luogo quasi autoreferenziale della erudizione locale, per diventare centro di irradiazione culturale della comunità rivolto alla totalità dei cittadini. Si trattava di concezioni moderne che hanno avuto difficoltà ad affermarsi e hanno spesso trovato anche in chi le propugnava, come nella Carini Dainotti, momenti contraddittori e atteggiamenti non alieni da ingenuità politica (è quanto sottolinea Mauro Guerrini), dal momento che non tenevano conto del contesto sociale, culturale e latamente politico che caratterizzava in quegli anni il nostro Paese condizionando, al di là dell’orgoglio professionale, quell’effettiva inversione della politica bibliotecaria che avrebbe potuto sollevare l’Italia ai più alti livelli europei e statunitensi.

Luigi Ponziani