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Angelo d’Orsi – I chierici alla guerra. La seduzione bellica sugli intellettuali da Adua a Baghdad – 2005

Angelo d’Orsi
Torino, Bollati Boringhieri, pp. 321, euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2005

Perorazione appassionata contro la guerra, contro ?tutte le guerre’ ? quasi un antimonumento ai Caduti ? il serrato volume raccoglie 7 saggi degli anni 2000 (solo uno risale al 1997). Sedi e occasioni, più che universitarie, ai bordi delle università ? italiane e francesi ?, offerte da istituti politico-culturali, riviste. Luoghi in cui Angelo D’Orsi possa riversare cultura e militanza; sperimentata competenza di storico degli intellettuali e lucido furore di militante della pace. Giri alla larga chi pretenda dallo studioso pacatezza e distacco. Qui c’è tutta la strumentazione ? conoscenza profonda dei testi, amplia bibliografia internazionale, larghezza e profondità dello sguardo ? sempre tuttavia all’insegna di una parola d’ordine implicita: maiora premunt. Urgono i richiami del presente, il bisogno di schierarsi nelle scelte e non scelte, negli scivolamenti e negli imbarbarimenti del presente: dove sono drammaticamente pochi gli uomini contro fra cui D’Orsi idealmente si schiera. Avvertendo invece ? dovunque ? l’egemonia dei Papini e dei D’Annunzio, fino ai Pera e alle Fallaci. ?Uno degli eroi negativi di questo libro è Giovanni Papini?: prima riga della Premessa (p. 7). I primi due saggi vanno indietro a cercare premesse e ricorrenze del guerrismo degli intellettuali, non solo italiani. Molto Corradini e molta guerra-festa, perciò Marinetti, che deve ripugnargli ancora di più. Ma i nazionalisti ? ad avviso dell’autore le nazioni hanno fatto più danni degli Stati ? sono ancora un bersaglio troppo ovvio. L’indignazione che produce e avvampa i versi dell’autore colpisce ancor più gli ?interventisti democratici?: da Salvemini a Bobbio ? il suo maestro, con cui D’Orsi intrattiene un sofferto rapporto di scambio e di sfida morale e intellettuale. Qui esplode il corto circuito fra la Grande guerra e le guerre-non guerre dei nostri anni: dove di nuovo si riproducono il ruolo di intellettuali e il loro ruere in servitium come mosche cocchiere ? da giornale e TV ? il dannunzianesimo, l’arditismo, le ideologie democratiche, l’americanismo. Nella parte storica del libro si manifesta il suo mostrarsi controcorrente, anche, rispetto all’odierna storiografia francese o francesizzante dell’universale vittimizzazione. In guerra ? avverte D’Orsi ? tutti sono omicidi e gli intellettuali provvedono con godimento a spiegare quant’è bello diventarlo, e utile e giusto. In sede storica, siamo oltre questo doppio paradigma. Ed è infatti in sede politica, cioè nella seconda metà del volume (Il Golfo, guerra giusta? e Kossovo ed Irak) che l’approccio prescelto e il genere di lavoro che ne nasce appaiono sul terreno proprio e danno il meglio di sé. Anche nel fare sistematicamente i nomi ? professori, opinionisti, giornalisti ? e nel non rifugiarsi mai nel discorso generale. Ci sono anche dei ? rarissimi ? riferimenti positivi nel corso del Novecento, che D’Orsi apertamente dichiara come maestri della buona invece che della cattiva battaglia: per la pace, invece che per la guerra. Romain Rolland durante la prima guerra mondiale; Julien Benda fra le due guerre; Edward W. Said, ai nostri tempi. Gli intellettuali critici di cui si vanno perdendo le tracce.

Mario Isnenghi