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Angelo D’Orsi – Intellettuali nel Novecento italiano – 2001

Angelo D’Orsi
Torino, Einaudi, pp. 370, euro 17,56

Anno di pubblicazione: 2001

Questa raccolta di saggi costituisce la prosecuzione ideale del volume recentemente pubblicato dall’autore sulla cultura torinese tra le due guerre. Qui sono riuniti alcuni profili di figure della cultura italiana e sono raccontate le vicende di sodalizi affettivi, intellettuali e professionali. Sorretto da un solido apparato critico-filologico, il libro costituisce l’occasione per soffermarsi su alcuni nodi, mai del tutto sciolti dalla storiografia, quali il carattere ?moderno? (più moderno rispetto al magistero crociano) dell’operazione che Gentile approntò per la costruzione del consenso tra gli intellettuali; la filiazione, più che la rottura, del liberalsocialismo di Calogero e Capitini dall’attualismo gentiliano; il primato che Prezzolini ha avuto ? come modello di lavoro culturale ? in una genealogia che arriva fino alla fondazione di casa Einaudi, passando per la generazione gobettiana.
Nel saggio introduttivo D’Orsi si sofferma su quanti nel corso del Novecento hanno messo penna e intelligenza al servizio delle tirannie più feroci. Nel secolo appena concluso, sostiene l’autore, la storia degli intellettuali è stata ?la storia di una fuga dal principio di responsabilità? (p. 15). Registrate in tal modo anche le ambiguità dell’engagement di sinistra (disposto a chiudere gli occhi di fronte alle dittature del proletariato), egli rinuncia tuttavia ad indagare le ragioni profonde del tradimento dei chierici. Leggendo il libro, si sente infatti la mancanza di uno scavo dentro quello che sembra invece esser stato un atteggiamento diffuso per molti decenni, ossia il rifiuto radicale della democrazia come regime dei compromessi, della massificazione e della corruzione morale. Il sintomo più evidente di questa lacuna interpretativa è costituito dall’eroicizzazione che l’autore attua a proposito di un intellettuale come Gobetti. Questo procedimento, infatti, finisce per oscurare il rapporto controverso che il giovane antifascista torinese ebbe con l’idea e la pratica della democrazia liberale. In un discorso storico teso ad affermare comunque il primato della dicotomia fascismo/antifascismo, la porta per indagini sul retroterra comune delle vicende intellettuali è lasciata socchiusa.
Le pagine migliori del libro sono quelle in cui il contrasto tra bianco e nero tende a sfumare, perché i protagonisti diventano ?grigi?: l’intellettuale ?funzionario? Marino Parenti, il quale, più che a ?fare gli italiani? con la letteratura e la filosofia, come auspica il suo patrono Gentile, pensa ad usare l’una e l’altra per sopravvivere; Persico, espressione della mediocrità del ceto medio intellettuale del Mezzogiorno italiano, ma anche capace di recepire le istanze europee moderne; infine, passando nel campo antifascista, Norberto Bobbio, il quale scarta l’intransigenza di Ginzburg, l’amico della giovinezza, scegliendo il mestiere di studioso, non senza qualche doloroso senso di colpa.

Luca Polese Remaggi