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Anna Grazia Ricca – Corpi d’eccezione. Storie di uomini e donne internati nel manicomio di Aversa (1880-1920) – 2006

Anna Grazia Ricca
Napoli, Filema, 102 pp., euro 12,00

Anno di pubblicazione: 2006

L’autrice di questo lavoro è una psicoterapeuta che, fin dal 1985, si è confrontata con la storia della propria disciplina e con quella del sapere psichiatrico: appena laureata, infatti, è stata chiamata a riprendere i fili, attraverso le cartelle cliniche, di quelle storie di vita dei malati «cronicizzati» che, in seguito alla cosiddetta legge Basaglia, avrebbero tentato la via di un possibile reinserimento sociale. Qui, naturalmente, Anna Grazia Ricca si è cimentata in uno scavo archivistico di diversa portata e il testo è frutto di una tesi di dottorato in Studi di genere discussa presso l’Università di Napoli «Federico II». Il corpus archivistico consultato riguarda circa un migliaio di cartelle cliniche di donne e di uomini ricoverati presso il manicomio S. Maria Maddalena di Aversa, nel periodo compreso tra il 1880 ed il 1920; il periodo, cioè, in cui in tutto il paese l’istituzione manicomiale vide un incremento notevolissimo dei propri ricoverati e l’autorità medica conquistò un ruolo sociale e politico di primo piano. Attenta a non restare intrappolata nelle difficoltà insite nei meandri delle storie individuali e sostenuta in ciò dalle riflessioni di storiche quali Arlette Farge (Il piacere dell’archivio, Verona, Essedue, 1991 ? ed. or. 1989) e Natalie Zemon Davis (Storie d’archivio. Racconti di omicidio e domande di grazia nella Francia del Cinquecento, Torino, Einaudi, 1992 ? ed. or. 1987), l’autrice dipana la sua ricerca privilegiando alcuni argomenti. In primo luogo, l’accertamento della «realtà» della malattia attraverso le stereotipate domande racchiuse nel formulario dello psichiatra; il famoso interrogatorio letto foucaultianamente come luogo in cui le parole dei malati non fanno che legittimare l’ordine del discorso psichiatrico. In secondo luogo, le testimonianze degli internati, spesso corrispondenze con i parenti, che nell’interpretazione dell’autrice sostanziano gli schemi culturali proposti dalla psichiatria. L’universo dei segni della malattia (dare scandalo, denudarsi, rifiutare il lavoro), infine, sono letti non solo come luoghi di costruzione della patologia, ma anche come momenti prescrittivi della normalità, dei ruoli di genere e, sulla base della riflessione di George Mosse, della rispettabilità sociale. Constatati, ancora una volta (se mai fosse stato necessario), lo straordinario interesse e la grande ricchezza dei temi contenuti in questa specifica tipologia di fonti che sono, per l’appunto, le cartelle cliniche, non possiamo che auspicare una maggiore attenzione verso di esse da parte dell’intera comunità scientifica e l’augurio che temi come quelli della marginalità e dell’esclusione sociale ritrovino una rinnovata centralità nel dibattito scientifico e storiografico.

Vinzia Fiorino