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Anna Pellegrino – Macchine come fate. Gli operai italiani alle esposizioni universali (1851-1911) – 2011

Anna Pellegrino
Milano, Guerini e Associati, 238 pp., Euro 23,50

Anno di pubblicazione: 2011

Frutto del sapiente scavo di una fonte già nota, ma in Italia non ancora utilizzata sistematicamente, e arricchito dal costante confronto con la bibliografia francese e inglese, il lavoro di Pellegrino sulle relazioni delle comitive operaie in visita alle esposizioni industriali si presta a diverse letture. Ad esempio, arricchisce significativamente le conoscenze sulla vicenda delle grandi esposizioni, evidenziando il notevole sforzo economico e organizzativo che rese possibile l’invio di gruppi di lavoratori a Londra e a Parigi, a Torino, Milano, Roma e Palermo. Dal punto di vista dei dirigenti, come un Tommaso Villa, grande patron delle esposizioni torinesi ed italiane e al tempo stesso presidente di numerose società di mutuo soccorso e di cooperative, la partecipazione di queste comitive era indispensabile, perché ingrossava e differenziava il pubblico ed era un evento nell’evento, volto a dimostrare – alla borghesia, al ceto politico, agli stessi operai – che i lavoratori aderivano al messaggio interclassista e antirivoluzionario dettato dalla pedagogia industrialista, il quale veniva inoltre rilanciato e amplificato attraverso la stampa e le premiazioni delle migliori relazioni di visita. Ma è soprattutto sul versante della cultura del mondo operaio che questo libro costituisce una novità importante, in quanto evidenzia il graduale passaggio da una concezione negativa della tecnologia – la macchina che toglie il lavoro, uccide e storpia – a una positiva, nutrita da un’idea evoluzionista della storia, dai miti della scienza e degli inventori, che era tutt’uno con l’idea di un progresso economico e sociale. La fascinazione per la tecnologia, anziché il ribellismo luddista, fu un denominatore comune di questa particolare letteratura, che Pellegrino ha individuato in diversi archivi e fonti a stampa, insieme ad altri, come il ruolo di una legislazione sociale agli esordi, dell’igienismo positivista e dell’idea di una nazione italiana ormai ben presente, benché declinata tra piccola e grande patria, tra consapevolezza del ritardo rispetto alle grandi potenze e orgoglio per i traguardi raggiunti e raggiungibili. Furono questi elementi, insieme ad altri, come una certa visione della storia risorgimentale, tema qui lasciato in ombra, a costituire quella miscela che doveva rivelarsi pervasiva e suadente agli occhi dei lavoratori, la cui accettazione, però, sottolinea l’a., non fu mai completamente acritica, poiché i loro scritti documentano anche la volontà di rivendicare spazi di autonomia e forme di tutela per i diritti degli operai e a salvaguardare in qualche misura l’orgoglio del mestiere, elemento cardine della identità di queste élites operaie, che proprio la tecnologia tendeva a erodere. L’indagine sugli autori, sui luoghi di produzione e sulle forme espressive, che si avvale degli strumenti dell’analisi linguistica e della critica letteraria, non trascurando aspetti come la visione della città o l’esperienza del viaggio, costituisce un ulteriore pregio di questo libro, come sottolinea Stefano Musso nell’efficace presentazione.

Silvano Montaldo