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Antonello Biagini – Storia dell’Ungheria contemporanea – 2006

Antonello Biagini
Milano, Bompiani, 177 pp., euro 9,00

Anno di pubblicazione: 2006

Nelle oltre venti pubblicazioni uscite in Italia per il cinquantennale della rivoluzione, questa spicca per diversi motivi. Primo, vi è una palese incoerenza tra il titolo e il contenuto: il testo, infatti, copre tutto l’arco storico dalle origini ai nostri giorni. Secondo: contiene errori in numero nettamente superiore alla media, pur assai elevata quando si tratta della trattazione di vicende complesse come quelle ungheresi. Terzo, pur nella brevità, il libro è di valore molto diseguale: le parti che coprono il periodo 1700-1900 e 1921-1948, ad esempio, sono esenti dagli infortuni talvolta madornali che affliggono le altre e sembrano sostenute da maggiore dimestichezza con la materia.Le prime omissioni e il primo errore sono forse i più sbalorditivi. A p. 28, nel trattare il declino magiaro dei primi del Cinquecento, si omette completamente di menzionare la figura di Dózsa, il capo dell’insurrezione contadina che mise a ferro e fuoco il paese nel 1514, e che bene o male è considerato un eroe nazionale: lo sforzo compiuto dai nobili per sconfiggerlo stremò l’Ungheria e la consegnò ai turchi. Poco dopo, il giurista Werböczy ? altro personaggio fondamentale dell’epoca ? sancì con il suo Tripartitum l’imposizione del cosiddetto secondo servaggio e il mantenimento della struttura feudale, che rimasero in piedi per certi aspetti fino al 1945: il libro non lo nomina neppure. A p. 30 si omette la battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571) come episodio cruciale della guerra plurisecolare tra Asburgo e ottomani, che ebbe conseguenze ovvie sull’Europa centro-orientale e balcanica. A p. 34 si scrive addirittura: «I turchi resistono fino al 1686 a Vienna, da dove vengono cacciati dopo un duro assedio» (sic). Si trattava di Buda, a Vienna (per fortuna) i turchi non entrarono mai, furono respinti nel 1683. In tutto il testo e nell’indice dei nomi, il politico István Nagyatádi Szabó viene coerentemente italianizzato in «István Nagyatà di Szabó», come Caracciolo di Feroleto o Araldo di Crollalanza, insomma. A p. 61, la battaglia di Sadowa si combatté a luglio e non a giugno del 1866. A p. 68, si afferma autorevolmente che il ponte Margherita e il ponte della Libertà sono oggi la stessa cosa, mentre un qualunque studente Erasmus da tre giorni a Budapest potrebbe spiegare che non è vero. A p. 77, la battaglia di Kosovo Polje fu nel 1389 e non nel 1386. A p. 99, il trattato di pace del 4 giugno 1920 fu firmato nel Grand Trianon, non nel Petit. A p. 138, Lazar Brankov nel 1949 non era affatto «anziano». A p. 146, Berija fu eliminato nel dicembre 1953, non 1954.Infine, la trattazione del 1956 lascia di stucco per la superficialità e gli approcci a dir poco datati ad alcuni problemi, come gli episodi di violenza (dove il ruolo delle «forze horthyste» o «di destra» fu inesistente) e la dichiarazione di neutralità del 1° novembre, avvenuta dopo e non prima dell’inizio della seconda invasione sovietica, come dimostrato da decine di documenti recenti e non. A proposito, le fonti sono scarsissime e la bibliografia è assente. Una domanda all’editore, che non è di certo secondario: sarebbe opportuno innalzare i requisiti per la pubblicazione di testi del genere, che finiscono in mano a molti studenti.

Federigo Argentieri