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Antonio Carioti – Di Vittorio – 2004

Antonio Carioti
Bologna, il Mulino, pp. 170, euro 12,00

Anno di pubblicazione: 2004

La ?congerie di menzogne? che, secondo il giudizio di Tasca (1953), aveva sepolto la storiografia sul PCI, non mancò di investire la biografia del più noto leader sindacale della CGIL. Amato come pochi, ma fiero e determinato nelle sue scelte, Di Vittorio fu un comunista ?anomalo? (p. 145), spesso in contrasto con le indicazioni di partito, come mette in evidenza Carioti in questa agile biografia, feconda di spunti interpretativi ed esemplare per chiarezza espositiva. Fin dal 1952, quando Felice Chilanti pubblicò un agiografico volumetto per glorificarne i sessant’anni e il mito dell’agitatore di Cerignola era già ben radicato, fu necessario fare i conti con un’iconografia ufficiale che non escludeva ?manipolazioni della realtà storica? (p. 18). Si espunse dalla vulgata storiografica la scelta per l’intervento in guerra e la sua militanza fra i sindacalisti rivoluzionari, che non poche polemiche aveva alimentato col neonato PCI: sia per la scelta di affiancare gli Arditi del Popolo nel fronteggiare (e battere) gli squadristi nella Bari Vecchia, sia per l’idea di una ?Costituente sindacale? che, dopo la marcia su Roma, ?pur di salvare il salvabile? (p. 60), avrebbe formato con D’Annunzio e De Ambris.
Erano i primi spunti critici racchiusi nella biografia d’un uomo che, al momento della scomparsa (3 novembre 1957), per le battaglie a favore dei lavoratori e dell’unità sindacale, aveva orami assunto il profilo di un eroe nazionalpopolare; ma nondimeno aveva alimentato malumori e contrasti con il vertice del Partito. Carioti ripercorre quindi il tentativo, intrapreso dal PCI, fin dopo la sua morte, ?di riportarne la figura in un alveo più rassicurante? (p. 19). Tanto più che non s’era ancora spenta l’eco dello scontro con Togliatti, in occasione della rivolta di Budapest, allorché Di Vittorio condannò l’intervento sovietico, schierandosi a fianco dei lavoratori ungheresi e rappresentando ?un punto di riferimento per coloro che credono venuto il momento di prendere le distanze dall’URSS? (p. 135).
La vita del ?comunista senza dogmi? si chiudeva dunque all’insegna della coerenza, al fianco della classe operaia e in difesa della sua unità. In questa ottica va interpretato il senso della sua militanza. La condivisione della linea dei Fronti popolari nel 1935 e la ricerca di un dialogo con i fascisti di sinistra (p. 76); il dissenso sul patto Molotov-Ribentropp, che gli costò l’esclusione dai vertici del Partito; l’ostinata difesa della CGIL unitaria e la sua battaglia per scongiurarne, in piena guerra fredda, la scissione; l’elaborazione del Piano del lavoro e la sua visione innovativa rispetto a una cultura di partito che non lesinò ?colpi di freno? (p. 114); il consenso, contro il parere di Amendola, all’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno e alle tesi di Saraceno; le esitazioni (p. 118) nei riguardi dello sciopero contro la ?legge truffa?; e soprattutto la sua autocritica all’indomani della sconfitta alla Fiat, rendono merito a un personaggio fuori da ogni fanatismo e schematismo ideologico.
?Ci siamo illusi di chiudere la realtà entro i nostri schemi?, egli riconobbe al Direttivo della CGIL nell’aprile 1955, ?ma la realtà è stata più forte di noi e il nostro schema è saltato in aria? (p. 128).

Fabio Fabbri