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Antonio Gibelli – Il popolo bambino. Infanzia e nazione dalla Grande guerra a Salò – 2005

Antonio Gibelli
Torino, Einaudi, pp. 412, euro 25,00

Anno di pubblicazione: 2005

L’?infanzia? che Gibelli pone al centro dell’analisi ?è una costruzione simbolica e retorica artificiale legata alle politiche di massa del XX secolo, non è quindi una categoria biologica né sociologica ma eminentemente politica? (p. 3). A questa costruzione, direttamente e lucidamente perseguita dal regime, collaborano illustratori, pedagoghi, scrittori, maestri, giornalisti. Per altro, né il progetto di nazionalizzazione delle masse, né il ruolo decisivo che vi recita il culto della patria e della guerra, degli eroi e dei martiri, nascono con il fascismo. Tra i tanti meriti del libro, va sottolineata l’articolata analisi dei nessi di continuità che collegano ideologia e propaganda nazionalista, Grande guerra e regime fascista; nessi non solo politici e ideologici, messi in luce dall’autore anche attraverso una minuziosa indagine sui diretti protagonisti delle strategie comunicative, grafici e giornalisti, che passano in alcuni casi emblematici dai manifesti e dalle cartoline della Grande guerra a quelle della RSI e oltre. In questa storia di una pedagogia integrale, la cui posta è la produzione di un popolo omogeneamente forgiato ai valori guerreschi, la Grande guerra rappresenta una prima tappa irreversibile della nazionalizzazione delle masse, segnatamente dell’infanzia e della gioventù; con il regime fascista però si compie un passaggio decisivo, che a parere dell’autore ne rappresenta la modernità: il suo costituirsi, attraverso ?il dispiegamento permanente di tutte le tecniche di mobilitazione del consenso attivo?, come ?moderno regime mediatico proprio di una società in corso di massificazione anche se povera e arretrata come quella italiana? (p. 219). ?Infantilizzazione della guerra?, e inclusione dell’infanzia nel corpo della nazione guerriera sono gli strumenti caratteristici di questa strategia.
L’analisi di permanenze e innovazioni negli strumenti di comunicazione rappresentano la parte più originale e affascinante del volume, con alcune punte di autentico virtuosismo, come laddove l’autore analizza delle serie di elaborati scolastici tentando di misurare quanto e in quali contesti il consenso diviene attivo, se e quando si realizza il passaggio dalla retorica alla ?persuasione?. Raffinatezza metodologica e grande varietà dei campi indagati non sono, almeno per ora, in grado di rispondere in modo esaustivo a una questione decisiva: quanto, come, con quali eccezioni, con quali impreveduti o contraddittori esiti, questa pedagogia ha conseguito i propri fini? Come e perché i giovani volontari di Salò vadano a ?cercar la bella morte? diviene, grazie al lavoro di Gibelli, molto più chiaro; non altrettanto si può dire del dilagante rifiuto della guerra e dei miti guerrieri che alla prova dei fatti svaporano più intensamente da noi, dopo vent’anni di modernissima e integrale pedagogia guerresca, di quanto accada nelle vecchie e ?svirilizzate? demoplutocrazie. Questo aspetto viene affrontato in modo più occasionale, un po’ di sfuggita; ma è questione strategicamente essenziale, che rende auspicabile una altrettanto feconda prosecuzione su questo versante dell’indagine di Gibelli.

Santo Peli