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Aram Mattioli – «Viva Mussolini!». Die Aufwertung des Faschismus im Italien Berlusconis – 2010

Aram Mattioli
Paderborn, Schöningh, 201 pp., € 19,90

Anno di pubblicazione: 2010

Negli ultimi decenni gli osservatori stranieri si sono ripetutamente occupati dell’Italia, delle sue anomalie, della sua classe dirigente e dei suoi scandali. Ad attrarre la loro attenzione è stata però soprattutto la figura di Berlusconi, che ha spesso finito per catalizzare su di sé molti degli stereotipi tradizionalmente attribuiti al carattere nazionale italiano. Ne è così risultata una grave banalizzazione sia del berlusconismo, sia delle profonde trasformazioni che esso ha contribuito a determinare in Italia. Fa eccezione rispetto a quanto appena detto la brillante indagine dello storico svizzero Aram Mattioli, che rappresenta forse uno dei più accurati tentativi di analisi di tali trasformazioni. Ripercorrendo sinteticamente il quadro politico italiano dagli anni ’90 in poi, l’a. si è infatti concentrato sul processo di progressiva «rivalutazione» del fascismo che accompagnò sin dall’inizio l’emergere del berlusconismo. Secondo tale prospettiva, le tesi del libro sono sostanzialmente due. La prima coincide con l’idea secondo cui tra la riscoperta del fascismo e l’affermazione del berlusconismo esisterebbe un rapporto non puramente occasionale, ma, anzi, un saldo nesso in virtù del quale l’una sarebbe stata la premessa e insieme la conseguenza dell’altra. La seconda coincide invece con l’idea secondo cui, a partire dai primi anni ’90, la pluridecennale egemonia culturale della sinistra sarebbe entrata in crisi in concomitanza con la progressiva erosione di quel paradigma antifascista che era stato non solo uno dei suoi presupposti principali ma, più in generale, uno dei miti fondanti del patto costituzionale. All’interno di questo processo erosivo, il berlusconismo avrebbe svolto un ruolo decisivo, che si tradusse nell’elaborazione di una strategia tesa a modificare, attraverso l’avvio di una vera e propria campagna revisionistica, i rapporti di forza tra destra e sinistra. Tale operazione fu condotta in grande stile, mediante il ricorso sistematico ai grandi mezzi di comunicazione, all’uso pubblico della storia e a una vera e propria campagna di disinformazione. Pur traendo ispirazione dal dibattito storiografico – cfr. le vivaci discussioni suscitate dai libri di De Felice, Pavone e Galli della Loggia – essa si allontanò ben presto dal piano strettamente culturale per spostarsi su quello più propriamente sub-culturale. Dopo aver ripercorso alcuni degli snodi principali alla base della costruzione del nuovo paradigma anti-antifascista – dalla equiparazione tra combattenti della Rsi e partigiani alla banalizzazione del regime fascista, trasformato in dittatura dal volto umano alla quale andrebbero riconosciuti molteplici aspetti positivi – le conclusioni cui giunge lo studioso nel finale sono estremamente severe. A suo parere, infatti, lo spregiudicato e minaccioso revisionismo berlusconiano non solo avrebbe spinto l’Italia a intraprendere sul piano della memoria storica un cammino sostanzialmente diverso rispetto a quello percorso negli stessi anni da Germania, Francia e Spagna, ma avrebbe anche modificato a fondo – e in peggio – il volto del paese.

Federico Trocini