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Artisti in fuga da Hitler. L’esilio americano delle avanguardie europee

Maria Passaro
Bologna, il Mulino, 182 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2018

Storica dell’arte contemporanea presso l’Università di Salerno, l’a. si occupa in questo
agile volume dell’esilio degli artisti europei negli anni tra le due guerre. Le vicende di
questo nucleo di grandi personalità del mondo dell’arte (basti citare i nomi di Piet Mondrian,
Lászó Moholy-Nagy, Wassily Kandinsky, Marc Chagall) sono ampiamente note.
Molte delle loro biografie risultano a vario titolo legate all’esperienza del Bauhaus e alle
politiche persecutorie messe in atto dal regime nazista contro le avanguardie artistiche che
conoscono un passaggio fondamentale con l’inaugurazione della mostra Arte degenerata
avvenuta il 19 luglio 1937.
Nella prima parte del suo lavoro l’a. accenna fugacemente a una serie di questioni
metodologiche legate al campo degli studi sull’esilio che avrebbero meritato di essere
adeguatamente approfondite (non vi è del resto traccia nella Bibliografia finale di lavori di
riferimento nella letteratura internazionale di settore, fatto salvo per il libro di Lewis A.
Coser, Refugees Scholars in America: Their Impact and Their Experiences, apparso, però, nel
1984), onde evitare di presentare come una novità assoluta (p. 9) l’idea dell’esilio intesa
come opportunità e non solo come perdita, prospettiva ormai da tempo ampiamente
utilizzata dalla letteratura internazionale.
Dove l’a. si muove meglio è, invece, nel campo della storia dell’arte europea del ’900
e nella ricostruzione dei percorsi di alcune figure della scena artistica negli anni compresi
tra l’ascesa al potere dei regimi totalitari e la fine del secondo conflitto mondiale. Parigi
e Londra sono le capitali più accoglienti per gli artisti in fuga; lo sono per il motivo che
esse offrono la possibilità di frequentare circuiti artistici internazionali e per la presenza
di gallerie in grado di offrire loro opportunità espositive di primo livello. È all’interno di
questi circuiti che avvengono incontri interessanti, destinati a continuare anche nell’esperienza
dell’esilio: è il caso, ad esempio dell’amicizia tra Wassily Kandinsky, trasferitosi
a Parigi nel 1934 e Josef Albers che già dal 1933 si trova negli Stati Uniti su invito del
Black Mountain College. Con la fine degli anni ’30 la capitale mondiale dell’arte diviene
New York, dove arrivano in diverse ondate sia gli artisti tedeschi che si trasferiscono dalla
Gran Bretagna, sia quelli in fuga dalla Francia occupata (André Breton, Max Ernst, Marc
Chagall, tra gli altri).
Le pagine più interessanti non sono tanto quelle dedicate alle grandi personalità del
mondo artistico, le cui biografie «americane» erano già in larga parte conosciute, quanto
quelle centrate sui profili dei collezionisti e mercanti d’arte, tra cui spicca la figura di
Pierre Matisse – figlio di Henri, il cui ruolo centrale nella scena newyorkese viene ampiamente
tratteggiato – e quelle dei docenti di storia dell’arte. Alcuni di loro danno vita
a esperienze didattiche, accademiche (come è nel caso del citato Albers) e non (vedasi
quello altrettanto stimolante di Hans Hofmann con la sua Arts Students League di New
York), destinate a influenzare profondamente l’arte americana degli anni ’50 e ’60.

Renato Camurri