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Bertrando Spaventa tra unificazione nazionale e filosofia europea

Marcello Musté, Stefano Trinchese, Giuseppe Vacca (a cura di)
Roma, Viella, 491 pp., € 45,00

Anno di pubblicazione: 2018

Il volume raccoglie gli atti del convegno Bertrando Spaventa tra coscienza nazionale
e filosofia europea, organizzato a Chieti nel febbraio del 2017 dal Comitato nazionale per
il bicentenario della nascita di Bertrando Spaventa, in collaborazione con l’Università
Gabriele D’Annunzio e numerose altre istituzioni culturali di rilievo nazionale e si pone,
allo stesso tempo, come un’occasione per «fare il punto sull’avanzamento degli studi sulla
figura di Spaventa» (p. 9), ma anche come momento di partenza di un più vasto programma
che prevede anche l’edizione critica integrale dell’epistolario e degli scritti.
Le ventidue relazioni raccolte nel volume (raggruppate in quattro sezioni: La circolazione
europea della filosofia italiana; Dal 1848 al 1861; La riforma della dialettica;
L’influenza sulla cultura del Novecento), privilegiano nettamente un approccio di storia
del pensiero filosofico intesa in senso classico, ma tutt’altro che privo di interesse anche
per lo storico generalista. Il pensiero spaventiano costituisce infatti una chiave di accesso
privilegiata per la comprensione della Weltanschauung alla base di quel liberalismo
del «comando impossibile» – per riprendere le suggestioni del classico studio di Raffaele
Romanelli – condiviso da una parte non piccola della classe dirigente italiana durante il
Risorgimento e nei decenni postunitari.
Un liberalismo la cui linea di frattura con il conservatorismo politico e filosofico rappresentato
dalla «premoderna o antimoderna […] ideologia italiana» (p. 150) – secondo
l’efficace definizione di Savorelli – di Terenzio Mamiani e Vincenzo Gioberti è indagata
nei saggi dello stesso Savorelli e di Musté.
Al contrario Spaventa riconosce le origini della modernità nell’esperienza rivoluzionaria
francese, individuata come punto di riferimento ideale di un’ideologia del «Progresso
» ma rilegge la «Grande Rivoluzione» attraverso le lenti, certo filosoficamente più
consistenti, ma innegabilmente «normalizzatrici», di Hegel e dell’idealismo tedesco. «Illuminismo
e hegelismo sono collocati dunque lungo una linea di continuità» (p. 215) che
porta Spaventa al «rifiuto dell’uomo naturale dei filosofi francesi» (p. 216). Le conseguenze
di tale scelta anche dal punto di vista politico e di «dottrina dello Stato» – ed è questo
forse uno dei limiti maggiori del volume – non appaiono però tematizzate.
La sottovalutazione del ruolo dell’individuo è infatti alla base di quel percorso «dalla
patria allo Stato» – per riprendere il titolo della biografia spaventiana di Fernanda Gallo –
che costituisce uno degli elementi costitutivi del liberalismo moderato italiano.
Infine, elemento non ultimo di interesse del volume è la ricostruzione dell’influenza
esercitata da Spaventa nella cultura politica italiana e in particolare il saggio di Giuseppe
Vacca che ripercorre la lettura di Spaventa nella tradizione marxista e in particolare l’interpretazione
togliattiana che collocava il filosofo e politico abruzzese «alle scaturigini del
marxismo italiano» (p. 427).

Pietro Finelli