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Biagio de Giovanni – L’ambigua potenza dell’Europa – 2002

Biagio de Giovanni
Napoli, Guida, pp. 317, euro 17,04.

Anno di pubblicazione: 2002

Libro di complessa e singolare concezione, non sempre facilmente decifrabile, ma tutto pervaso, pur nella dichiarata intenzione antiretorica, dal senso della grandiosità dei compiti che l’Europa si è posta con l’ampliamento dell’Unione: la dimostrazione delle proprie potenzialità strategiche di fronte alla globalità e la costruzione, per la prima volta nella storia, di una dimensione della politica e della sovranità oltre i confini degli Stati. Non si tratta di un libro di storia, ma di una lettura in chiave interpretativa, basata su una fittissima trama concettuale, di una pagina di storia in fieri, apertasi con l’?invenzione comunitaria? del 1950: proprio per questo, però, offre un contributo notevolissimo all’individuazione delle categorie con cui il processo di costruzione europea può essere ?pensato? e sottratto al dominio di una storiografia ripiegata sulla tecnicità delle procedure diplomatiche o ferma al consunto dualismo tra lungimiranza dell’europeismo e riottosità degli Stati nazionali. Anzi, poiché una delle tesi di de Giovanni è che la costruzione dell’Europa non rappresenta una ?uscita dalla storia?, ma poggia sul magma delle storie nazionali e si connette all’intera vicenda dello Stato moderno, in particolare alla crisi dello Stato-nazione manifestatasi sin dalla fine dell’Ottocento, il libro offre spunti anche per una rilettura dell’intero Novecento, come ?secolo diviso in due?, caratterizzato dalla successione di due risposte alternative alla mondializzazione della storia, da due opposti tentativi di portare la politica oltre gli Stati: la guerra nella prima metà del secolo, il disciplinamento democratico del declino dello Stato nazionale nella seconda metà.
De Giovanni introduce il lettore in un intricato gioco di specchi, con rimandi continui da episodi attuali a temi e momenti della storia del pensiero europeo, a partire dall’età classica: l’intento è ?riconquistare la profondità storico-ideale del processo europeo?, secondo l’originale combinazione di esperienze dell’autore, parlamentare europeo per due legislature, ma prima di tutto filosofo della politica. Impossibile dar conto della molteplicità dei riferimenti, alcuni prima facie impensabili (Plotino, Bruno?), o dei contradditòri (Kelsen, Habermas?). L’asse del discorso, in polemica con le tesi federaliste e funzionaliste, è l’irreversibile natura dialettica del processo, teso alla costruzione di uno spazio che è, allo stesso tempo, ?fra? e ?oltre? gli Stati. Efficacissima la lettura del nesso fra persistenza e superamento degli Stati alla luce della dottrina di Santi Romano sul rapporto originario-derivato negli ordinamenti giuridici. Utile per l’inquadramento della relazione tra unità e differenze, tra ultrastatale e plurinazionale nella nuova realtà europea, il richiamo alla dialettica Uno-Molteplice, ?modello di pensiero che ha formato l’Occidente?. Non convince però la torsione del ragionamento verso una rinnovata filosofia della storia, là dove l’autore indulge a presentare la costruzione europea come l’inverarsi di quel modello logico o quando, ugualmente spingendo nella penombra gli attori reali, innalza a soggetto di storia la ?sapienza degli Stati?. Ma anche queste sono manifestazioni della vivacità intellettuale che dà forza al libro.

Leonardo Rapone