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Bob Moore e Kent Fedorowich – The British Empire and its Italian Prisoners of War, 1940-1947 – 2002

Bob Moore e Kent Fedorowich
London, Palgrave, pp. V-329, £ 57,50

Anno di pubblicazione: 2002

Questo volume di Moore e Fedorowich ? già curatori di uno studio su Prisoners of War and Their Captors in World War II (Berg, 1998) ? copre una grave lacuna della storiografia. Gli autori prendono le mosse da una frase di Giorgio Rochat circa i ?quarant’anni di silenzio? che circondano l’esperienza degli italiani prigionieri degli alleati, osservando acutamente come la maggior attenzione prestata di recente dalla storiografia italiana alle sofferenze degli italiani tenuti nella Germania nazista abbia avuto in parte la funzione di distanziare l’Italia dal suo passato come partner dell’Asse e di rafforzare l’immagine di un’Italia vittima del Nazismo.
Il volume prende in esame tutti gli aspetti della prigionia, passando dallo sconcerto delle autorità britanniche di fronte a ?ettari e ettari? di prigionieri (troppi per essere contati in altro modo in un primo momento), ai vari schemi inventati per utilizzare i prigionieri senza rischiare rappresaglie contro i prigionieri britannici in mano agli italiani. Non manca l’altra faccia del quadro, cioè la versione degli italiani della loro esperienza: le condizioni di vita, il lavoro, gli aspetti politici della detenzione.
Poiché, secondo la Convenzione di Ginevra del 1929, l’impero britannico era parte integrale del paese metropolitano, molti di questi prigionieri furono trasportati fuori dall’Europa, in Canada, Kenya, Sud Africa, India e Australia, mentre solo una parte venne trattenuta nelle isole britanniche. Infatti, da un lato un tale numero di uomini (500.000 nel 1943) nelle isole britanniche avrebbe presentato formidabili problemi di sicurezza; dall’altro, i prigionieri rappresentavano un’enorme fonte di manodopera in un momento in cui ce n’era carenza in tutte le zone dell’impero. Questo secondo aspetto costituisce in realtà una chiave di lettura dell’intera vicenda e giustifica la periodizzazione del titolo. Anche dopo il settembre 1943, quando lo status degli italiani avrebbe dovuto cambiare, le autorità britanniche trovarono i modi di mantenere sotto il loro controllo un serbatoio di manodopera a poco prezzo, rifiutando il rimpatrio a molti di essi fino al 1947.
Interessanti sono i capitoli dedicati agli atteggiamenti degli inglesi nei confronti dei loro prigionieri, caratterizzati all’inizio dai soliti stereotipi, ma poi dominati da considerazioni economiche e quindi più sensibili alle necessità dei loro custoditi. Illuminanti anche le sezioni che parlano delle posizioni politiche dei prigionieri stessi, spesso confuse, ma a volte non senza un certo orgoglioso sfoggio di fiducia nella vittoria fascista. A sorpresa gli inglesi scoprivano che l’odio per Mussolini non si traduceva sempre in amore per l’Inghilterra; l’invito alla collaborazione, nel 1944, non incontrò infatti un pieno successo, anche se i motivi erano molti, e spesso non legati alla politica.
Tutto sommato ciò che emerge da questo studio è una storia di frustrazioni, di nostalgia per casa, di incomprensioni piuttosto che di stenti e di sevizie ? di un trattamento, cioè, ben diverso da quello riservato ai prigionieri e ai deportati in Germania. Non a caso non pochi prigionieri italiani tornarono dopo il conflitto nei luoghi di cattività, per cercare una nuova vita fuori dell’Italia.

Paul Corner