Anno di pubblicazione: 2009
Testo magistrale, elegante. Come dubitarne. Dico testo e non libro perché questa edizione traduce (molto bene) un unico capitolo, l’ottavo e ultimo, di un volume assai più ampio pubblicato da Baczko in Francia, Politiques de la Révolution française (Paris, Gallimard, 2008, 777 pp., euro 12,40). A differenza del volume francese, qui manca l’indice dei nomi. Il testo è tuttavia autonomo, si legge bene da solo. Il sottotitolo italiano è un po’ fuorviante. Il saggio non propone una analisi comparata fra i due sviluppi storici, americano e francese; piuttosto studia come la figura di Washington sia stata usata da modello nel dibattito pubblico francese negli anni compresi fra il coup d’état del 18 Brumaio (9 novembre) 1799 e la proclamazione dell’Impero nel 1804.Modello di molte cose. Washington morì quasi all’inizio di questa storia, il 14 dicembre 1799, consentendo a Napoleone di celebrarlo solennemente e di identificarsi con lui proprio all’indomani di un evento di cui l’americano era la negazione vivente, appunto un colpo di Stato. Per molti osservatori, dice Baczko, l’immagine di Napoleone come «giovane Washington francese» esprimeva aspettative e speranze che tendevano a dare una interpretazione rassicurante delle sue azioni e intenzioni: l’emergere di un padre della patria che avrebbe potuto stabilizzare la Repubblica uscita dalla Rivoluzione, un eroe militare capace di trasformarsi in un leader politico rispettoso della legalità; l’affermazione di un potere autorevole ma non autoritario; la fine del regime assembleare ma non del governo rappresentativo.Le cose andarono diversamente, e per gli adulatori di un Napoleone sempre più imperiale Washington divenne un modello di niente, una immagine sbiadita legata a un mondo lontano, provinciale e irrilevante. Ci si chiese: chi può reggere il confronto con la gloria di Bonaparte e della Francia? Si disse: «Gli Stati Uniti non possono più servire da esempio per una nazione i cui destini sono così elevati da sfuggire a ogni confronto». Chiosa e riassume Baczko: secondo costoro, l’esperienza americana aveva «un carattere locale, non universale» (p. 123) – e avrebbe ben potuto accennare a un ironico paragone con l’altrettanto arrogante universalismo rivoluzionario americano e il nazionalismo del «destino manifesto».Nel memoriale di Sant’Elena, Napoleone tornò sulla questione. «Io non potevo essere che un Washington coronato», disse, per diversità di tempi, luoghi, uomini. «Se fossi stato in America sarei stato volentieri un Washington; e con ben poco merito, perché non vedo come sarebbe stato razionalmente possibile fare in modo diverso. Ma se Washington stesso si fosse trovato in Francia, nelle strette della dissoluzione interna e della invasione esterna, lo avrei sfidato a essere se stesso e se si fosse ostinato a esserlo non sarebbe stato che un imbecille e avrebbe provocato solo delle grandi sciagure» (p. 127-128). Considerazioni non banali. E tuttavia, sciagura per sciagura, resta la fulminante battuta di Chateaubriand di qualche anno dopo: «La Repubblica di Washington ancora esiste, l’Impero di Bonaparte è distrutto» (p. 136).