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Bruno Bonomo – Il quartiere delle Valli. Costruire Roma nel secondo dopoguerra – 2007

Bruno Bonomo
Milano, FrancoAngeli, 208 pp., Euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2007

Molto poco è stato prodotto sinora come storia di quartiere, il che rende tanto più prezioso il progetto editoriale di Lidia Piccioni sulle «tante Rome» del ‘900. L’ultimo volume della collana affronta un nucleo promosso nel dopoguerra nella zona di Monte Sacro-Prati Fiscali da un colosso fondiario, la Società generale immobiliare.Diciamo subito che il lavoro di Bonomo ha il merito fondamentale di affrontare con rigore e accuratezza un episodio di «speculazione edilizia», sgombrando il campo da formule abusate, e dedicandosi con pazienza e giusto distacco ad articolare forme, contenuti, dinamiche di una famiglia di fenomeni urbani non trascurabili.A proposito dell’Immobiliare (soggetto, inutile dirlo, con l’unico movente del profitto, la cui parabola va dall’ascesa postunitaria alle oscure trame finanziarie di Sindona e al fallimento di fine anni ’80) Bonomo usa la definizione di «speculazione virtuosa», sottolineando positivamente lo standard qualitativo medio e la dotazione di verde e servizi nei quartieri realizzati. Se all’epoca per Antonio Cederna l’Immobiliare rappresentò la «rovina di Roma», lo sguardo sobrio dello storico restituisce una città costretta ancora oggi a pagare il prezzo di inquinamento, congestione ed erosione del verde semplicemente perché cresciuta – dice Bonomo – sacrificando il comfort collettivo a quello privato. In questo senso Roma, nell’Italia del boom, è un caso eclatante ma per nulla isolato.È nel disegno politico della casa in proprietà per tutti, dunque, del benessere diffuso come strumento di pace sociale, che trovano spiegazione (se non giustificazione) le acclarate e innumerevoli connivenze tra amministratori capitolini e costruttori sulle scelte di piano regolatore. Per la cultura tecnica più avanzata quartieri come quello delle Valli furono tessere impazzite del successivo dilagamento urbano a «macchia d’olio», permesso da un Piano regolatore generale incapace di pilotare l’espansione secondo poche direttrici ponderate – si veda di contro la pluridecennale battaglia per il Sistema Direzionale Orientale di Zevi & c. Tutto vero, salvo che Bonomo ci costringe a guardare più da vicino e concretamente come nel quartiere si sia vissuto (abitato, giocato, socializzato, lottato politicamente), con livelli di vivibilità e di identificazione nei luoghi tutto sommato accettabili, in barba ai dettami dell’urbanistica illuminata – che peraltro ha prodotto non pochi mostri.Particolare nota di merito va all’a. per l’utilizzo incrociato di fonti di tipologia e provenienza diversa, di norma separate nei singoli approcci disciplinari: i classici fondi archivistici (catasti, contratti) e i dati quantitativi, così come le interviste e l’osservazione partecipante sul campo. Questa «ibridazione metodologica» condotta con grande libertà gli consente di trattare con pari dignità sia aspetti materiali (tipologie edilizie, taglio degli alloggi, infrastrutture) che aspetti immateriali (origine e composizione sociale, dinamiche demografiche, toponimi, immagine complessiva del quartiere) – ed è l’unica, forse, strada percorribile per indagare l’urbano alla scala «micro».

Michela Morgante