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Carlo Pinzani – Il bambino e l’acqua sporca. La guerra fredda rivisitata – 2011

Carlo Pinzani
Firenze, Le Monnier, XIV-501 pp., Euro 29,00

Anno di pubblicazione: 2011

Ripercorrere la guerra fredda al di fuori dei trionfalistici paraocchi occidentali, con lo scopo dichiarato di esplorare non solo le miserie dell’Urss ma anche il suo contributo alla stabilità e il «valore della pace nella tradizione socialista» (p. 448), sarebbe stimolante per lo storico che non s’accontenti dell’esausta retrospettiva teleologica. Alla fine, però, sono rimasto deluso da un tentativo che poteva essere fruttifero, ma appare irrisolto.Invece di un’investigazione della cultura e della politica della distensione nell’Urss post-staliniana – operazione potenzialmente assai utile e originale – l’a. opta per la dettagliata ricostruzione narrativa della relazione bipolare letta esclusivamente nella sua dimensione strategico-politica, che Pinzani privilegia deliberatamente sulle «suggestioni oggi di moda … [del] cultural turn» (p. X). L’intento originario finisce così diluito in una storia accurata e storiograficamente aggiornata, ma anche piuttosto convenzionale, che ha per unici teatri Mosca e Washington, ed è incardinata su due ricorrenze interpretative. Da una parte la struttura istituzionalmente primitiva dell’Urss ed una sua capacità di egemonia «infinitamente più povera e rozza» (p. 31) di quella del rivale. Dall’altra la pervasiva, persistente ideologia statunitense dell’anticomunismo, incardinata nell’eccezionalismo americano, che determina l’impossibilità di una coesistenza effettivamente distensiva, imprigionando l’Urss nelle sue contraddizioni.La prima di queste premesse interpretative, condivisibile e promettente, definisce la ricorrente condizione di minorità dell’Urss, ma resta purtroppo enunciata invece che analizzata. La seconda assurge a chiave di lettura reiterata, proiettando su tutto il quarantennio una fissità eccessiva: Truman e i neoconservatori condividevano certo un lessico dell’antisovietismo, ma incastonato in analisi diametralmente opposte del contesto globale e della minaccia.Entrambi questi fattori evidenziano il paradosso di una storia che non vuole scivolare nella dimensione culturale, ma ad essa tuttavia allude e rimanda in continuazione. E lì trova perciò il suo limite esplicativo, particolarmente evidenziato dalla scarsa attenzione rivolta ai soggetti principali della sfida per l’egemonia e co-attori della guerra fredda: l’Europa e gli europei. Il terreno primario dove inizialmente si confrontano risorse e debolezze delle due visioni antagonistiche resta ai margini della narrazione benché sia lì che si misura la diversa efficacia dell’egemonia. Cosa ancor più contraddittoria, gli europei – ed in particolare i tedeschi! – sono virtualmente assenti anche nei due decenni finali, quando il loro protagonismo è imprescindibile per districare l’intreccio di rivalità e distensione che porta alla crisi del sistema socialista e al 1989. L’aspetto simbolico non è tutto, certo. Ma una guerra fredda conclusa con il vertice di Malta invece che con il crollo del Muro sacrifica proprio quella tensione tra grandi aspettative storiche in cui si sarebbe potuto indagare (ma ben difficilmente salvare) «il bambino» di Pinzani.

Federico Romero