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Carlo Salvadori – L’impermeabile è donna. Storia degli impermeabili di Empoli: lavoro a domicilio nel settore delle confezioni (1907-1964) – 2002

Carlo Salvadori
Prefazione di Mariella Zoppi, Empoli, Ibiskos, pp. 140, euro 15,00

Anno di pubblicazione: 2002

Il libro, come annuncia il titolo un po’ sopra le righe, racconta un pezzo della storia delle lavoratrici a domicilio empolesi che, a partire dalla fine della prima guerra mondiale, hanno speso giorni e notti cucendo impermeabili. Generazioni diverse hanno legato la loro vita all’avvicendarsi di tipi diversi di lavoro a domicilio: dalle trecciaiole di fine Ottocento, alle fiascaie, attive soprattutto nella prima metà del Novecento, alle confezioniste di ?capispalla? che aumentano fino agli anni Cinquanta; quella di ?trenciaia? è un’etichetta che appare sporadicamente nei fogli di famiglia del censimento del 1936, ma che segnala un uso linguistico diffuso e, con esso, la ricorrente contaminazione, tipica della Toscana di piccola impresa, fra produzioni locali e stili e mercati inglesi e americani.
La ricerca nasce dalla tesi di laurea di un giornalista, figlio di un imprenditore del settore. E’ scritto vivacemente e offre un piccolo contributo alla storia del lavoro femminile. Di un certo interesse è l’analisi del declino del lavoro a domicilio, accelerato dalla legge del marzo 1958 e dalla conseguente concentrazione in fabbrica di una parte della lavorazioni: un passaggio che segnala l’ambivalenza della protezione legislativa del lavoro delle fasce marginali. L’altra faccia dell’estensione dei diritti per le lavoratrici che vengono spostate nelle fabbriche è infatti un aumento dei costi che provoca a lungo andare lo spostamento della produzione verso manufatti a minore intensità di lavoro e la contrazione del lavoro per le donne che hanno maggiori carichi familiari: un tema che ripropone alcuni aspetti del dibattito attuale su vantaggi e svantaggi della flessibilità.
Il limite è in parte ovvio, dato che l’autore non è uno storico di professione: le fonti orali sono sottoutilizzate; altre fonti ?micro?, come i fogli di famiglia dei censimenti, non sono prese in considerazione. Ne emerge un quadro opaco della società empolese, e della sua duratura capacità di incorporare alcuni caratteri di modernità industriale in un tessuto sociale e culturale tradizionale. Un aspetto che emerge a tratti, ad esempio dagli stereotipi negativi, ancora vivi negli anni Cinquanta, sul lavoro femminile in fabbrica. Mentre sappiamo poco della fisionomia sociale e familiare delle lavoratrici e degli imprenditori.
Interessante è invece la sezione iconografica, che mostra una indubbia vivacità degli stilisti e degli imprenditori locali, capaci di servirsi di stilemi freschi e innovativi, di sigle e loghi americanizzanti, di comunicare una immagine di modernità, che forse adombra una rottura reale, negli anni Sessanta, del tradizionalismo del tessuto sociale. Ma le contraddizioni di una società che tramanda ruoli tradizionali e coltiva un immaginario moderno emergono dall’ingenuo e simpatico ritratto di una attraente e giovane fiascaia che impaglia il fiasco volgendo le spalle a una foto di Clark Gable e, presumibilmente, sognando di essere Rossella O’Hara.

Alessandra Pescarolo