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Catholicism and Cinema. Modernization and Modernity

Gianluca della Maggiore, Tomaso Subini
Sesto San Giovanni, Mimesis International, 242 pp., € 20,00

Anno di pubblicazione: 2018

Questo interessante volume si colloca nella tradizione di studi volti a indagare modi, tempi e forme con cui il cattolicesimo internazionale dovette confrontarsi con le innovazioni tecnologiche della modernità novecentesca.
Il caso del cinema appare da questo punto di vista un campo privilegiato per analizzare l’incontro/scontro tra cattolicesimo e modernità e i reiterati tentativi da parte cattolica di piegare le tecnologie più innovative a un ruolo positivo, secondo lo schema del cosiddetto «modernismo buono», laddove si cercava di utilizzare i ritrovati della modernizzazione senza volersi però piegare ad accettare le principali idee guida della modernità.
All’interno di questo schema, questo volume è costituito da due parti distinte. Gianluca della Maggiore si concentra sulla risposta che la Curia romana e i vari episcopati nazionali, tra cui soprattutto quello statunitense, cercarono di dare allo strapotere di Hollywood e ai pericoli che ritenevano insiti nella grande diffusione di film considerati «im- morali» tra anni ’20 e anni ’30. Tale preoccupazione si inseriva nel generale timore per la crescente americanizzazione, e conseguente secolarizzazione, della vita culturale e sociale di molte aree del mondo, soprattutto ove era più forte l’influenza americana. Nel corso degli anni ’30, tuttavia, la Chiesa di Pio XI, ben spalleggiata dall’episcopato americano, la cui influenza era in crescita negli anni della presidenza Roosevelt, riuscì a promuovere una campagna per indurre le mayors a «moralizzare» i contenuti dei loro film, che conobbe un certo successo, riuscendo a trovare eco in altri settori della società americana. Tale risultato e la volontà di procedere ulteriormente in una simile direzione determinarono la promulgazione, nell’estate del 1936, dell’enciclica Vigilanti Cura, dedicata ai problemi della produzione cinematografica e indirizzata all’episcopato nordamericano.
Spostando il focus principale al secondo dopoguerra, Tomaso Subini analizza i tentativi cattolici di utilizzare lo strumento del cinema, nella particolare situazione di forza politica determinatasi in Italia a partire dal 1948, per provare a ricristianizzarne la società. E questo sia attraverso la produzione o, più spesso, promozione di film di carattere e ispirazione religiosa, sia attraverso un uso occhiuto e sistematico delle prassi censorie, peraltro sempre in bilico tra esclusiva repressione delle scene pornografiche (in un’accezione insolitamente ampia del termine) e tentazione di vietare quei racconti che potevano incitare alla lotta sociale o alla denigrazione internazionale del paese.
Si trattò di uno sforzo ampio e organizzato, che mobilitò alcune delle migliori intelligenze cattoliche e che, tuttavia, conobbe uno scacco inatteso e definitivo all’inizio degli anni ’60, allorché con l’affermarsi del centro-sinistra vennero meno le norme più draconiane in materia di censura e un regista a lungo considerato non ostile al cattolicesimo, come Fellini, poté dare alla luce La dolce vita.

Zanini Paolo