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Catia Papa – Sotto altri cieli. L’Oltremare nel movimento femminile italiano (1870-1915) – 2009

Catia Papa
Roma, Viella, 226 pp., euro 25,00

Anno di pubblicazione: 2009

Il libro studia il rapporto tra la cultura politica del movimento femminile italiano e il discorso coloniale diffuso nella società dell’Italia postunitaria, ma offre al pubblico italiano una prima ricognizione su un campo di studi ben più ampio e poco coltivato. L’ottica di genere nella ricerca sul colonialismo è stata introdotta in Italia da più di un decennio, ma questo filone è ancora minoritario, anche per le difficoltà nel reperimento delle fonti; l’importanza di questo volume quindi va oltre la ricerca specifica e l’arco cronologico esaminato.L’a. muove dagli studi culturali sull’imperialismo, che soprattutto in area anglosassone, da anni indagano il ruolo dei modelli di genere nella costruzione e nel mantenimento delle gerarchie coloniali. Dalla sua prospettiva di storica politica del movimento femminile italiano, l’a. usa il genere per indagare il nesso tra storia della cittadinanza nazionale e mitologie e pratiche del dominio coloniale. Papa descrive la parabola discendente dell’emancipazionismo democratico, iniziata con la mobilitazione anticolonialista dopo Adua e infrantasi nell’adesione al patriottismo libico; dalla «sorellanza universale» – ambigua, ma ancora legata all’idea dell’autodeterminazione dei popoli e degli individui – all’ideologia maternalista, con i suoi accenti classisti, razzisti e organicisti, che cristallizzano nel dato etnico la dignità civile e nazionale delle italiane.Papa mette in evidenza il progressivo arretramento della cultura politica femminile italiana, che nell’elaborazione di un’etica del «femminismo latino» rinuncia al tentativo di rifondazione della cittadinanza a partire dalla differenza, per farsi incorporare nella nazione assumendo una missione paternalistica nei confronti delle classi inferiori e dei sudditi coloniali. In questo processo, le emancipazioniste elaborano una serie di confronti normativi tra la «donna nuova» italiana (o meglio il suo corpo materno) e i corpi delle suddite coloniali, legittimando e dando spessore al discorso coloniale diffuso nella cultura nazionale.Un secondo, interessante piano di confronto è quello europeo. Qui l’a. si concentra sul riferimento alle suffragette inglesi come stereotipo negativo per un movimento femminile italiano ansioso di fornire un’immagine rassicurante rispetto all’ordine tradizionale dei generi; ma sarebbero da scoprire anche altre analogie e differenze tra questo maternalismo e l’Imperial motherhood declinato attraverso i discorsi coloniali europei, così come l’impatto concreto del «femminismo latino» nelle colonie italiane.Dal quadro emerge l’immaturità della riflessione femminile italiana sul colonialismo. Come nota Papa, le riviste esaminate si interessano poco della gestione politica delle colonie o delle vicende delle comunità d’oltremare. Interessanti le pagine sull’iniziativa di un patronato torinese per l’apertura di una sede a Tripoli, tra grande attivismo nella raccolta di fondi e serie difficoltà nel reclutamento delle dirigenti. Le colonie sono quindi solo immaginate come spazi di emancipazione ove mostrare iniziativa, fermezza di carattere e attaccamento alla nazione?

Barbara Spadaro