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Cattolici e violenza politica. L’altro album di famiglia del terrorismo italiano

Guido Panvini
Venezia, Marsilio, 399 pp., € 22,00

Anno di pubblicazione: 2014

Panvini, con questo studio, intende arricchire la conoscenza del fenomeno terroristico
italiano indagandone il fattore cattolico. L’a. ci restituisce i fermenti, le aspettative,
i sogni, i miti di un’intera generazione di giovani credenti passati dall’appartenenza e
dall’impegno cattolico alle piazze attraverso la novità della stagione conciliare, temperie
teologica, umana, culturale ed esistenziale segnata dalla certezza che un mondo diverso
fosse possibile. Il Concilio è centrale in questa prospettiva marcando un’epoca con la sua
carica innovativa e rivoluzionaria, dai gruppi del dissenso fino alle proposte aggregative
dei movimenti cattolici. In questo mondo solo una minima parte sceglie la pratica della
violenza politica, ma molti dei capi storici e dei fondatori dei gruppi armati provengono
dal mondo cattolico, o più semplicemente sono cattolici.
L’a. ricostruisce la parabola del magistero e più in generale della sensibilità cattolica
sul tema della violenza, fino all’opzione estrema del tirannicidio eticamente giustificato.
Si potrebbe quindi parlare di una genealogia cattolica all’accettazione dell’uso della violenza
politica, sia negli ambienti conservatori sia in quelli progressisti (p. 269). Un’elaborazione
che non sarebbe succube quindi della cultura marxista, come spesso è stato scritto,
ma frutto di elementi tratti dalla tradizione e dal magistero cattolico (pp. 175-176, 201,
184, 342, 380), reinterpretati, e piegati, attraverso una ricezione selettiva, alle attese di un
tempo in cui la rivoluzione sembrava ineluttabile e la non violenza in alcuni casi veniva
interpretata come una fuga dalla storia.
Esemplificativo il caso dell’enciclica Populorum progressio, che pur condannando decisamente
la violenza, come la Pacem in terris, lasciava aperto lo spiraglio all’«insurrezione
rivoluzionaria» contro la tirannia in alcuni casi determinati (p. 186), spiraglio colto da
quei credenti che erano caduti in una decisa politicizzazione della fede (p. 189), mutuando
dal marxismo tutta una serie di categorie, come la lotta di classe o l’imperialismo (p.
315), estranee alla tradizione cattolica. In questo processo un posto particolare lo trovano
i miti terzomondisti (vedi America Latina e Indocina) e il precedente storico della Resistenza
cattolica durante l’occupazione nazista (p. 291).
Avrebbe giovato a questo studio soffermarsi sulla tradizionale opposizione della
Chiesa al mondo capitalista e borghese, che rese alcuni settori del mondo cattolico particolarmente
ricettivi e anche anticipatori delle istanze del Sessantotto, giustificando pure
la loro opposizione alla DC, che aveva tradito la sua ispirazione cristiana accettando senza
remore la modernità capitalista. Questa impostazione risaliva alla stagione dell’intransigentismo
cattolico ottocentesco, in cui vari studiosi (Poulat, Spadolini, Riccardi) hanno
colto un fattore di lunga durata nella storia del cattolicesimo contemporaneo.
Il volume colma pertanto un vuoto rappresentando un contributo innovativo e ricco
di spunti interessanti per la comprensione di un’epoca segnata da grandi speranze ma
naufragata nel terrorismo.

 Marco Impagliazzo