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Cefalonia. La resistenza, l’eccidio, il mito

Elena Aga Rossi
Bologna, il Mulino, 252 pp., € 22,00

Anno di pubblicazione: 2016

Ha ragione l’a. a definire quella di Cefalonia come una «complessa vicenda» (p.
120), in questo volume che ha il pregio di essere – dopo alcuni collettanei e forse troppe
opere di pubblicistica – il primo tentativo di studio complessivo firmato da uno storico
di professione.
Purtroppo però il volume è assai breve. Parliamo di 120 pagine di documenti (in
genere noti agli specialisti, per quanto non facilmente disponibili in estenso, e quindi qui
utilmente raccolti) e 120 di testo così composte: una decina di pagine di introduzione,
una dozzina sulla situazione dell’estate del 1943, finalmente una cinquantina di pagine
sulle vicende vere e proprie (fra l’8 e il 24 settembre, eccidio compreso). Seguono una ventina
di pagine su Cefalonia fra 1943 e 1945 e una trentina sulla «guerra della memoria», il
capitolo forse meglio riuscito (per quanto passibile di discussione). Insomma, le tragiche
vicende del settembre 1943 occupano qui uno spazio, e un interesse, uguale a quanto
avvenne successivamente. La storia e il mito hanno lo stesso spazio, e peso.
In così poco spazio, poco per una vicenda così complessa, l’a. chiarisce sin dalle
prime pagine quali sono i suoi interessi: il giudizio sul comandante della Divisione Acqui,
il generale Antonio Gandin; quella che le pare una grave crisi disciplinare (il fatto che
ufficiali inferiori e forse truppa forzarono la volontà di Gandin e spinsero la Divisione
a un combattimento contro le truppe tedesche, inferiori di numero ma meglio armate,
supportate dall’aeronautica, e più decise); e il comportamento del principale oppositore
di Gandin, il tenente Renzo Apollonio che, con il capitano Amos Pampaloni, ebbe un
ruolo di primo piano in quel convulso settembre. Se poco di nuovo si dice sul comportamento
delle truppe tedesche, e sul sistema di ordini criminali che le guidò, chiara è sin
dalle prime pagine l’intenzione di smitizzare l’interpretazione di Cefalonia, di ridimensionare
(a partire da un più attento calcolo dei caduti italiani) il suo ruolo nella storia
della Resistenza, e soprattutto di mettere in evidenza i limiti e le contraddizioni di chi, al
tempo della guerra fredda, continuò a parlare di Cefalonia anche falsandone i contorni.
Intanto però i governi – per ragioni di politica estera – cercavano di sopire il ricordo di
una pagina di brutali crimini di guerra nazisti, al fine di non intralciare la ripresa di buone
relazioni italo-tedesche, il riarmo della Germania e l’inserimento a pieno titolo di Berlino
e di Roma nell’Alleanza atlantica.
Il volume si presenta come uno sviluppo delle pagine dedicate al tema in Una guerra
a parte. I militari italiani nei Balcani 1940-1945 (con Maria Teresa Giusti, 2011).
Sostiene necessario, per sottrarsi al «mito», «ripartire dalle fonti» (p. 11). Ma si basa su
documentazione già nota e utilizzata dagli specialisti, cui aggiunge qualcosa (il diario
Bronzini, la documentazione di don Formato, una lettera ai familiari di Gandin ecc.). Si
segnala il fatto che non si faccia uso della documentazione tedesca. Si tratta insomma di
una sintesi e di una re-interpretazione, peraltro nelle note assai avara di riconoscimenti
verso la bibliografia precedente.

 Nicola Labanca