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Cesare Bellocchio Brambilla – Nascere senza venire alla luce. Storia dell’Istituto per l’infanzia abbandonata della Provincia di Torino (1867-1981) – 2010

Cesare Bellocchio Brambilla
Milano, FrancoAngeli, 304 pp., Euro 22,00

Anno di pubblicazione: 2010

Così come nelle opere letterarie post-settecentesche che hanno per protagonisti bambini «abbandonati», nelle ricostruzioni delle vicende dei brefotrofi esiste il rischio di indulgere ad accenti lacrimosi. Benché il titolo del libro – ispirato, infatti, a un romanzo recente – possa suggerire un approccio di questo tipo, l’a. mantiene, invece, ciò che promette nel sottotitolo. Dopo aver richiamato le vicende pre-unitarie del brefotrofio torinese, che coincideva in origine (sec. XVI) con il locale Ospedale Maggiore, ne ripercorre le successive trasformazioni, anche edilizie. I momenti salienti sono quelli che segnarono, pur con cadenze assai diverse, il destino di molti grandi ospizi italiani sorti per accogliere i neonati esposti: il distacco dall’Opera di maternità (1868), la chiusura della ruota (1870), il passaggio di gestione – e non solo di competenze economiche passive – alla Provincia (1877), gli adeguamenti alla prima organica normativa statale (1923 e 1927), i (non facili) rapporti con l’Opera nazionale maternità e infanzia durante il fascismo, la stabilità nel secondo dopoguerra, il dissolvimento – intorno agli anni ’80 del secolo scorso – in favore di soluzioni alternative alla (recente) segregazione dei minori nell’istituto.Il libro segue il percorso cronologico passando in rassegna – e spesso riportando integralmente – il contenuto dei documenti prodotti dall’amministrazione provinciale e dalla direzione dell’istituto torinese (regolamenti e statuti, delibere, carteggi, relazioni), sintetizzando i dibattiti interni che precedettero gli interventi più importanti (come le tormentate riforme dei criteri di ammissione o i cambiamenti di sede) e riportando i dati che corredavano gli atti esaminati (dal numero dei servizi erogati alla mortalità interna, dalla composizione dell’organico alle retribuzioni del personale, dai costi di edificazione alle metrature dei vari edifici). Un materiale documentario ricchissimo che, però, lasciando al lettore il compito di tracciare i percorsi tematici, resta spesso ai margini delle possibili prospettive interpretative, non ultima quella dell’attuale riflessione storiografica sulla «via italiana» al welfare. Ad esempio, rimangono in ombra i nessi che legavano fra loro, da un lato, alcune iniziative coraggiosamente e precocemente modernizzanti, realizzate anche da altre amministrazioni «virtuose» – come la scelta per un profilo assistenziale e non benefico, l’introduzione dei sussidi per le madri sole o la creazione dell’asilo materno (1919) – e, dall’altro, le discussioni sulla «carità legale», sul destino e sulle competenze dei brefotrofi: discussioni che, dagli anni ’70 dell’800, furono ampiamente divulgate dalla stampa specializzata e nei congressi nazionali e internazionali sulla beneficenza.Il libro costituisce dunque un contributo importante, ma conferma l’esigenza di ricomporre una geografia storica delle forme assistenziali materno-infantili, che collochi i percorsi locali – anche sul tema della laicità – all’interno del sistema delle opzioni possibili.

Florse Reggiani