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Cesare Jarach (1884-1916). Un economista ebreo nella Grande Guerra

Alberto Cavaglion, Francesco Forte
Torino, Silvio Zamorani, 95 pp., € 10,00

Anno di pubblicazione: 2017

Questa breve pubblicazione intende ricordare la figura di Cesare Jarach, giovane
economista proveniente da una famiglia ebraica di Casale Monferrato, arruolatosi come
volontario nella Grande guerra e morto sull’Isonzo nel 1916. Nella Prefazione il pronipote
Manuel Disegni sottolinea la volontà dei famigliari di riportare alla luce una «biografia
emblematica e dimenticata» (p. 11), tornando a interrogarsi sulla scelta, comune a molti
ebrei di quella generazione, di sacrificare affetti e aspirazioni borghesi in nome della fedeltà
agli ideali patriottici.
Un documentato saggio di Forte ne ricostruisce il percorso scientifico, restituendo
il profilo di un promettente studioso in formazione. Laureatosi in giurisprudenza a
Torino, Jarach era fra gli allievi prediletti di Luigi Einaudi, che gli dedicò nel 1917 un
significativo necrologio sulla «Riforma Sociale». Scelto fra i delegati tecnici dell’Inchiesta
parlamentare sulle condizioni dei contadini meridionali, egli curò nel 1909 la relazione
su Abruzzi e Molise, che ne mise in evidenza le doti intellettuali. Gli furono affidati incarichi
all’Istituto internazionale di agricoltura e al Commissariato dell’emigrazione. Jarach
incarnò un modello di funzionario colto e animato «da devozione alla pubblica cosa» (p.
29); una tipologia di civil servant minoritaria in Italia, di cui – come scriveva Einaudi –
l’amministrazione statale aveva estremo bisogno, condizionata com’era da incompetenza
e arrivismo. Forte analizza i suoi primi lavori scientifici, inquadrandoli all’interno della
scuola economica torinese; da una parte le ricerche sullo sviluppo delle società per azioni
in Italia, dall’altra una serie di riflessioni teoriche, quali il saggio sugli effetti della tassazione
generale sui profitti e gli appunti su questioni concernenti la teoria quantitativa della
moneta.
Le pagine di Cavaglion sottolineano come si sia assistito a una lunga rimozione
del tema del nazionalismo ebraico, legata al ripudio dell’eredità del fascismo e della sua
appropriazione delle tradizioni patriottiche. A farne le spese è stata secondo l’a. proprio
la corrente degli interventisti democratici e liberali come Jarach, «rapidamente inghiottiti
nel nulla o, peggio, incautamente assimilati ai nazionalisti pre-fascisti» e dall’altra parte
oscurati dal neutralismo socialista di Treves «e dei suoi non pochi discepoli ebrei» (p. 69).
Le osservazioni dell’a. sono certamente valide sul lungo periodo; tuttavia è da tempo
maturata un’attenzione crescente verso le diverse componenti dell’interventismo che ha
permesso di restituirne la complessità ideologica, superando gli schematismi prevalsi nei
primi decenni della storia repubblicana.
Completa il volume una nutrita sezione di immagini e documenti personali e famigliari.
Se la pubblicazione ha centrato l’obiettivo di valorizzare una biografia significativa,
essa rimanda alla necessità di indagare meglio, come già si è cominciato a fare, i percorsi
collettivi delle diverse generazioni di ebrei italiani fra ’800 e ’900 e, più specificamente,
il contributo di vari studiosi di origine ebraica allo sviluppo della scienza economica in
Italia.

Francesca Cavarocchi