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Charles Killinger – Gaetano Salvemini. A biography – 2002

Charles Killinger
Westport, Conn.-London, Praeger, pp. 376, £ 57,50

Anno di pubblicazione: 2002

Il lavoro di Charles Killinger ha il merito di essere una ricostruzione equilibrata della vita di Salvemini. L’autore ha scritto cioè una vera e propria biografia in cui vicende private, profilo culturale e scelte politiche si intrecciano costantemente, sulla base di un uso non superficiale delle fonti primarie conservate sia negli archivi italiani sia negli archivi americani. L’adesione consapevole al genere biografico costituisce il punto di forza del lavoro, soprattutto se si considera che in Italia questo genere ha prodotto opere che difficilmente ? si pensi al Mussolini di De Felice ? possono essere considerate biografiche in senso proprio. Da un punto di vista metodologico, dunque, il lavoro di Killinger può essere visto come un buon contributo proveniente dal mondo anglossassone, più aduso a questo genere di scrittura.
Killinger ha scritto un libro militante, non facendo mistero della propria adesione al punto di vista salveminiano sulle vicende della prima metà del Novecento italiano. Peraltro, questa adesione non impedisce all’autore di soffermarsi su alcuni momenti controversi. Per esempio, ricorda che, ancora nei primi mesi successivi alla marcia su Roma, Salvemini indugiò in un ?partially sympathetic treatment of Mussolini?. Parimenti, l’autore concede che le ripetute polemiche antigiolittiane degli anni precedenti erano state eccessive nei toni e foriere di inquietanti sviluppi politici. Se mai, egli appare meno determinato nel mettere a fuoco le ambiguità e le contraddizioni dell’interventismo democratico; ambiguità e contraddizioni che lo stesso Salvemini avrebbe riconosciuto più tardi.
Il limite di questo libro risiede nella raffigurazione di Salvemini come rappresentante dell’empirismo e della democrazia anglosassoni nella terra di Mussolini, Gramsci e D’Annunzio. Killinger segue un po’ troppo passivamente una tradizione memorialistica e politica ? il salveminismo, appunto ? che era invece utile rimettere in discussione. Così facendo, l’autore suggerisce più o meno consapevolmente l’immagine di un intellettuale che avrebbe avuto poco in comune con la mentalità politica e culturale del proprio paese. Come è facile vedere, si tratta di una versione rinnovata del mito delle minoranze virtuose ? mazziniane, salveminiane, gobettiane, azioniste ? costrette ad operare in un paese a loro ostile, arretrato ed eternamente controriformista.
La storia fu però un’altra. Come tanti suoi contemporanei, Salvemini condivise i tratti della cultura politica italiana di primo Novecento, tra i quali la sfiducia nel funzionamento reale delle istituzioni rappresentative e la concezione della politica come pedagogia nazionale e come fatto elitario. In altri termini, più che un italiano per caso, come vorrebbe Killinger, Salvemini fu nel bene e nel male un tipico rappresentante della cultura politica del proprio tempo e del proprio paese.

Luca Polese Remaggi