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Christian Jansen – Italien seit 1945 – 2007

Christian Jansen
Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 255 pp., s.i.p.

Anno di pubblicazione: 2007

Terzo volume di una serie dedicata a brevi introduzioni alla storia dei vari paesi europei nel secondo dopoguerra, questo volume in parte mantiene e in parte delude le aspettative per cui è stato scritto. Il volume di apertura della serie, scritto da Thomas Mergel e dedicato alla Gran Bretagna era stato accolto molto favorevolmente come capace di dare in qualche centinaio di pagine una buona idea dello sviluppo della politica e della società Oltre Manica. Questo studio cerca di ripeterne il successo, ma con esiti, come si è accennato contraddittori.Bisogna riconoscere che dominare l’intera materia, cioè mettere di fatto insieme sociologia, cultura, politica e costumi è impresa tutt’altro che facile, sicché quando si studia il fenomeno dall’esterno si finisce per mettersi nelle mani di una serie di studi complessivi assumendone il bene, se si è fortunati, ma anche gli stereotipi se non si incappa negli autori giusti.L’impressione è che Jansen non abbia sempre saputo valutare bene le informazioni che si trovava fra le mani, sicché ne è uscita un’immagine dell’Italia postbellica piuttosto stereotipata, ma soprattutto scarsamente provvista di profondità storica. In sessant’anni di storia sembra che non ci siano vere periodizzazioni, se si eccettua il periodo iniziale fino al 1947. Tanto per dire centro-sinistra, ’68 e terrorismo hanno tutti più o meno lo stesso breve spazio narrativo. Le imprecisioni non mancano: per citarne una, a p. 150 viene scritto non solo che i «dorotei» erano una corrente sotto la guida di Moro (errore che peraltro sta anche in autori italiani), ma che essi «vennero anche scherzosamente soprannominati morotei». Tuttavia il problema maggiore è dato da una certa mancanza di capacità di interpretazione, che è maggiormente richiesta nei libri di sintesi che non nelle narrazioni più distese.Il punto dove si vede maggiormente la dipendenza di Jansen da una serie di stereotipi è nella valutazione delle vicende della cosiddetta «seconda Repubblica». Non stupisce tanto l’abusato ricorso alla categoria del «trasformismo» per spiegare la politica italiana, perché come esempi di questo le oscillazioni di campo degli on. Mastella o Fisichella ci sembrano poca cosa (qualcuno ricorda i vari passaggi di campo di Winston Churchill?). Ci pare invece un eccesso di appiattimento sui giornali sostenere che col presidente Ciampi si aveva una autorità che si «radicava nella resistenza» e che riportava in auge il Partito d’Azione «per lungo tempo dimenticato», mentre come suo successore sarebbe arrivato il «funzionario del PCI di lungo corso» Giorgio Napolitano (p. 225). Sono frasi buone per il giornalismo pasticcione dei nostri giorni, non per un volume, sia pure divulgativo, di storia.La lettura di questi volumetti fa comunque bene per redimerci dalla nostra prospettiva provincialista, per cui all’estero sono sempre più seri e preparati di noi. Cose di simile livello su Gran Bretagna, Germania, Francia, ecc. sono state tranquillamente prodotte anche da storici italiani.

Paolo Pombeni