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Cittadini dimezzati. I profughi trentini in Austria-Ungheria e in Italia (1914-1919)

Francesco Frizzera
Bologna, il Mulino, 278 pp., € 23,00

Anno di pubblicazione: 2018

L’argomento del volume è lo «sfollamento coatto di circa 105.000 abitanti della regione, allontanati dalle proprie abitazioni sia dalle autorità austriache […] che italiane» (p. 10), uno dei molteplici casi in cui, durante la prima guerra mondiale, i componenti di una popolazione residente a cavallo della linea del fronte «vengono evacuati (oppure fuggono) in due direzioni opposte, venendo a contatto con Stati ed autorità militari differenti, trattamenti diversi a seconda della fedeltà percepita rispetto alla causa nazionale o allo sforzo bellico» (p. 13). Quella che potrebbe essere considerata una vicenda di storia locale viene correttamente inserita in un quadro ben più vasto, e ripetutamente comparata con accadimenti coevi verificatisi in altre aree dell’Europa centrale e orientale. La ricerca è basata su fonti archivistiche (tanto italiane quanto austriache) ma anche sull’esame di ego-documenti a carattere diaristico e memorialistico; a fini comparativi si fa uso dell’ormai consistente storiografia esistente sulle migrazioni forzate e il profugato durante la prima guerra mondiale; il quadro comparativo non include però né i Balcani né l’Impero ottomano.
Il primo capitolo descrive e compara gli sfollamenti attuati dalle autorità austriache e italiane, descritti come motivati da esigenze in primo luogo militari e umanitarie (sostanzialmente dalla necessità di allontanare i civili dal raggio d’azione dell’artiglieria nemica) non senza, però, che giochino un ruolo importante anche fattori di appartenenza politica. L’a. contrappone la condizione di «futuri cittadini», formalmente però nemici, dei profughi in Italia a quella di «potenziali traditori», ma cittadini a tutti gli effetti, dei profughi in Austria (p. 25); tale divario non impedisce che gli uni e gli altri vengano evacuati a forza, anche al fine di allontanare elementi ritenuti almeno potenzialmente «inaffidabili». Nei due capitoli successivi viene descritto il destino dei trentini da un lato «profughi nel proprio Stato» e dall’altro «esuli in patria»; nell’uno e nell’altro caso «lo stigma dell’evacuazione coatta trasforma lo sfollato in un potenziale sospetto, sia agli occhi delle autorità preposte all’assistenza, sia agli occhi della popolazione ospitante» e i profughi divengono, durante la guerra, «cittadini dai diritti dimezzati in Austria; cittadini in prova in Italia» (p. 242).
Il volume si conclude con la vicenda dei «ritorni» postbellici: l’a. rileva che «Dopo l’armistizio […] i profughi stessi vengono […] rigettati come cittadini ed esclusi dalla comunità civile e politica» (p. 210) da parte del nuovo Stato austriaco, che si propone di rappresentare una comunità politica delimitata su base linguistica e, di fatto, ristretta agli abitanti germanofoni della parte di impero coincidente con l’area sotto la giurisdizione del nuovo Stato austriaco. Come nota l’a. nelle Conclusioni, con la guerra prendono quindi piede «prassi di gestione delle popolazioni di confine o di minoranza che prima non erano nemmeno prese in considerazione» (p. 249), quantomeno nelle parti d’Europa cui il volume fa riferimento diretto o indiretto.

Antonio Ferrara