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Civiltà della crisi. Cultura e politica in Italia tra Ottocento e Novecento

Luisa Mangoni
Roma, Viella, 402 pp., € 32,00

Anno di pubblicazione: 2013

Con la riproposta di questi saggi in un unico volume l’a., recentemente scomparsa, ci riconduce a molti dei principali temi del suo laboratorio storiografico che ha avuto al centro, nel corso di quarant’anni, la storia degli intellettuali italiani tra ’800 e ’900, di fronte ai conflitti mondiali, nel fascismo e nel postfascismo, la storia dell’editoria e quella della storiografia. L’approccio proposto, in un densissimo corpo a corpo con le fonti, è alternativamente quello del ritratto singolo, spesso come introduzione a una raccolta di scritti o lettere (di Cesare Lombroso, Delio Cantimori, Leone Ginzburg, Carlo Levi, Emilio Sereni). Oppure il ritratto di gruppo, colto attorno a una rivista, a un progetto editoriale, o nel dibattito di una disciplina scientifica; dalle riviste fiorentine di inizio secolo, a quelle del fascismo, a quelle legate alla storia del Pci («Società», «Il Politecnico», «La Rinascita»); fino ai carteggi, ai progetti di collane, alle schede editoriali in primis per Einaudi, tra anni ’30 e ’60.
L’estensione cronologica del volume ci offre un’interpretazione complessiva della storia dell’Italia unita per come essa si è costruita attraverso il contributo e i dibattiti degli intellettuali: nel costituirsi di discipline (dal diritto alle scienze politiche e sociali), che hanno consentito di analizzarla e governarla, dandole nel contempo forma; nel confronto tra idee e concezioni della società, della letteratura e della storia, che sono stati altrettanti modi per pensarne e trasformarne il presente e il futuro. È un’Italia costantemente incompiuta, soprattutto sul piano della realizzazione di una piena democrazia, e che nel suo farsi sembra dover necessariamente passare per periodiche fasi autoritarie come furono il «cesarismo» crispino e il fascismo; oltre ad essere stata radicalmente segnata da due conflitti mondiali, rivissuti qui nei loro umori preparatori e negli echi successivi.
Nell’interpretazione dell’a., tuttavia, sulla scorta delle pagine dei «suoi» intellettuali – e sullo sfondo dell’analisi marxiana e gramsciana della società borghese e dei suoi fallimenti – tutte queste furono «crisi» produttrici di positivi sviluppi, di progresso e di «civiltà», sempre tesi verso un mai raggiunto compimento, ma costantemente percorsi dallo scontro e dal confronto con un’Italia che «come oggi è non ci piace» (nelle parole di Amendola sulla «Voce» del 1910, in un certo senso fatte proprie dall’a. nella sua Avvertenza iniziale).
Crisi e incivilimenti – quelle «enormi commozioni, che starebbero alla radice della civiltà e ne costituirebbero i momenti effettivamente creatori» (secondo Ernesto De Martino, citato dall’a., p. 181) – sono studiati qui alla luce dello storicismo, come approccio inteso a fornire non una filosofia della storia, ma «materiali» e «tasselli» che, attraverso il «metodo analitico» e lo «scrupolo filologico» (come nel programma della rivista «Società», p. 144), ci propongono un duraturo ritratto degli intellettuali italiani nei loro chiaroscuri, contraddizioni, errori e speranze.

Simon Levis Sullam