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«Con regolata indifferenza, con attenzione costante». Potere politico e parola stampata nel Granducato di Toscana (1814-1847)

Domenico Maria Bruni
Milano, FrancoAngeli, 2015, 356 pp., € 40,00

Anno di pubblicazione: 2016

Il sistema di censura preventiva in vigore nel Granducato di Toscana «rendeva le possibilità
di lettura dei sudditi del granduca superiori a quelle di altri lettori della Penisola»
(p. 248). L’a. giunge a queste conclusioni attraverso una solida e ben documentata ricerca
sulla censura in Toscana durante la Restaurazione basata su fonti d’archivio inedite.
Il libro affronta l’istituzione censoria nella sua complessità, mostrando le varie sfaccettature
di quella che potrebbe sembrare una mera istituzione repressiva. Nei diversi
capitoli l’a. ne indaga il quadro legislativo, gli attori, i princìpi ispiratori e la concreta
applicazione. Bruni evidenzia le discrasie tra norma e prassi e il costante dialogo tra «esigenze
del governo, degli stampatori e degli autori» (p. 80).
Secondo l’a., il limite tra lecito e illecito era variabile e dipendeva non solo dal contenuto
di uno scritto, ma anche dalla contingenza storica e dai suoi potenziali effetti sui
lettori e sul mondo editoriale. Le scelte dei censori erano soggettive e circostanziali, finalizzate
a evitare le perturbazioni della quiete pubblica e le rimostranze di governi stranieri
e a salvaguardare la tradizione monarchica, il cattolicesimo e i buoni costumi.
L’a. sottolinea dunque l’uso «flessibile» della censura, il dialogo con le altre istituzioni,
in primis la Chiesa, e la partecipazione di editori e autori nei procedimenti repressivi
in un processo dialettico che poteva implicare tagli, correzioni, l’aggiunta di apparati
paratestuali o la falsa indicazione del luogo o della data di stampa. Le esigenze di polizia
si confrontavano con gli interessi commerciali e imprenditoriali dell’editoria e con il
principio del libero scambio permettendo sia la tutela della competitività degli stampatori
toscani, sia la libera circolazione dei testi provenienti dall’estero.
L’a. mette dunque in discussione l’immagine dei censori come semplici funzionari di
polizia, presentandoli come intellettuali dotati non solo di «affidabilità politica e morale e
vasta cultura, o quando meno erudizione» (p. 67), ma anche di pubblico riconoscimento.
Secondo l’a., il vero scopo della censura durante la Restaurazione «fu archiviare il
tempestoso quindicennio appena trascorso» (p. 83) e «depoliticizzare il discorso pubblico
» (p. 84). Inoltre le continuità con l’istituzione settecentesca sarebbero state molteplici.
Solo la riforma del maggio 1847 rappresentò una cesura, introducendo la burocratizzazione
e la razionalizzazione territoriale della pratica censoria e rendendo di fatto legale il
giornalismo politico.
Il volume, ben scritto, offre spunti originali sulla questione della sfera pubblica durante
la Restaurazione, aprendo interrogativi su aspetti da approfondire. Tra gli altri, sarebbe
stato interessante inserire la censura nel quadro più ampio degli strumenti repressivi
in vigore nel Granducato e approfondire il coevo dibattito europeo sulla censura.

 Elena Bacchin