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Controrivoluzione e brigantaggio in Basilicata. Il caso di Rocco Chirichigno

Antonio Russo
Canterano, Aracne, 180 pp., € 14,00

Anno di pubblicazione: 2017

Tratto da una tesi magistrale discussa presso l’Università di Bologna, il volume ricostruisce le vicende della banda di Rocco Chirichigno, alias Coppolone, attiva tra Lucania e Puglia. I primi due capitoli, tentando di inquadrare il caso di Chirichigno nella storia della controrivoluzione europea e nello scenario socioeconomico della Basilicata del tempo, si limitano, tuttavia, a riassumere studi precedenti e talvolta superati. I tre capitoli seguenti, più interessanti, esaminano, utilizzando fonti giudiziarie e militari inedite, la formazione degli schieramenti legittimista e liberale a Montescaglioso nei decenni preunitari, la carriera di Chirichigno e dei suoi uomini, le relazioni della banda con le élite locali.
La scelta di studiare una banda minore permette a Russo di cogliere uno stato di agitazione rurale assai più esteso del raggio di azione delle ben note scorrerie della banda Crocco. L’a. aggiunge così un tassello utile alla conoscenza del variegato movimento antiunitario, confermando la sua capacità di coinvolgere non solo l’alta possidenza, ma anche un ceto medio rurale di coloni, massari e guardaboschi, spesso in posizione di mediatori tra le bande e i contadini.
Tuttavia, il lavoro avrebbe tratto giovamento da un più serrato confronto con la storiografia. Stupisce l’assenza di riferimenti agli studi di A. Scirocco sul Mezzogiorno postunitario e sul banditismo rurale, di G. Galasso sulla tradizione brigantesca, di S. Sarlin sulla mobilitazione legittimista. Inoltre, la disputa tra E. Hobsbawm e A. Blok e ricerche come quella di G. Civile sul Comune rustico avrebbero permesso di impostare meno superficialmente il problema del rapporto tra notabilato e brigantaggio. Vanno poi segnalati alcuni casi di uso improprio della citazione. Riferendosi al noto saggio di S. Lupo nell’Annale Einaudi su Guerra e pace curato da W. Barberis, Russo attribuisce erroneamente a Lupo l’idea che «il legittimismo vero strumentalizzava dall’esterno una questione che può essere sociale, culturale, criminale, ma non mai, di per sé, politica» (p. 74). Inoltre, a p. 101, si trascrive fuor di citazione, con qualche modifica nella punteggiatura, un periodo interamente tratto dalla traduzione italiana del saggio di E.P. Thompson sull’economia morale del povero.
In presenza di tali lacune, l’a., pagando dazio alla trita polemica contro la storiografia accademica, si propone di scrivere una storia dichiaratamente «antirisorgimentale» per rimediare al «rumoroso silenzio» che avrebbe occultato le vicende dei vinti (p. 8). La dichiarazione d’intenti viene, peraltro, contraddetta dopo poche righe, quando l’a. riporta, come fonte d’ispirazione, un brano di C. Pinto che sostiene la necessità di svincolare l’analisi dagli opposti paradigmi risorgimentista e antirisorgimentista (p. 9). Da tempo disponiamo del distacco e degli strumenti critici necessari per percorrere questa via, l’unica che possa contrastare quelle che lo stesso Russo definisce le «analisi […] poco scientifiche» (p. 8) del cosiddetto revisionismo.

Alessandro Capone