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Costantino Felice – Il Mezzogiorno operoso. Storia dell’industria in Abruzzo, – 2008

Costantino Felice
Roma, Donzelli, XXIV-576 pp., euro 38,00

Anno di pubblicazione: 2008

Il volume, realizzato con il patrocinio e il contributo di Confindustria Abruzzo, ricostruisce il processo di industrializzazione che ha contrassegnato l’Abruzzo nell’ultimo quarantennio, con l’obiettivo di giungere all’analisi di quel «modello» di sviluppo grazie al quale questa regione è divenuta tra le aree maggiormente progredite d’Italia. Al fine di comprendere ciò viene adottata una prospettiva di lungo periodo, individuando processi di lunga durata che sembrano smentire e ridimensionare tutta una serie di luoghi comuni concernenti la storia economica abruzzese. Emerge così il manifestarsi di una «vocazione» industriale abruzzese, in particolare nell’area sud-orientale della Maiella, già a partire dalla fine del ’400, laddove sembra affermarsi una «sorta di “distretto” industriale (o protoindustriale)» caratterizzato dalla produzione di lana e ceramiche. A giudizio dell’a., la presenza di una cultura industrialista, di uno spirito d’impresa, di una volontà di riscatto «secondo le moderne logiche di profitto capitalistico» (p. 545) sarebbero coesistite con l’immagine di «regione agropastorale arretrata e immobile» (p. 179), fortemente veicolata dalla produzione letteraria dannunziana e identificante per decenni la realtà abruzzese. Tale nuova dimensione troverà piena affermazione soltanto con lo sviluppo economico degli anni ’70: quali sono allora le cause di questa trasformazione? Nel volume vengono prese in considerazione le diverse ipotesi elaborate dagli studiosi per spiegare ciò (la favorevole posizione geografica rispetto alle altre regioni meridionali, una certa disponibilità di risorse energetiche a buon mercato, il ruolo avuto da alcuni imprenditori, quello giocato dalla politica, impersonata in modo esemplificativo dalla figura del leader democristiano Remo Gaspari), considerate sicuramente importanti ma non determinanti ai fini di una corretta interpretazione. La chiave di lettura più giusta andrebbe invece individuata nell’intreccio tra fattori economici e «non economici»: in modo particolare nello sviluppo, qualità e consistenza della borghesia industriale meridionale, oltre che nelle ricadute del sapere tecnico-scientifico sulle opzioni imprenditoriali. Tutto ciò, conclude l’a., sarebbe riscontrabile in un «protagonismo di massa» che sembra emergere nei momenti più significativi della storia economica abruzzese (dalle profonde trasformazioni nel settore agricolo conseguenza dell’esproprio del latifondo Torlonia nel Fucino, all’affermarsi a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 dell’intervento pubblico in alcuni settori specifici); ovvero, in una sorta di «protagonismo della società civile e delle forze imprenditoriali […] rafforzato dall’attivismo del ceto politico, ma reso anche maggiormente “virtuoso” dal suo combinarsi con la sensibilità e l’intraprendenza delle popolazioni locali» (p. 553).

Angelo Bitti