Cerca

Da Gramsci a Occhetto. Nobiltà e miseria del Partito comunista italiano, 1921-1991

Franco Andreucci
Pisa, Della Porta, 467 pp., € 20,00

Anno di pubblicazione: 2014

Studioso della storia internazionale del socialismo fra ’800 e ’900, l’a. si è dedicato
anche a quella del Pci, da ultimo con un libro molto originale del 2005, recensito su «Il
mestiere di storico» da Sandro Bellassai: Falce e martello. Identità e linguaggi dei comunisti
italiani fra stalinismo e guerra fredda. Quel libro è un po’ il presupposto di questo, che non
a caso dedica agli anni 1945-1956 più spazio di quello riservato alle altre fasi. Non è però
uno squilibrio significativo perché Andreucci integra la storia politica dei gruppi dirigenti
con quella del corpo sociale del Pci, che nel periodo fascista era ridotto a poche persone
in gran parte emigrate, in carcere o al confino. Una trattazione più rapida della fase finale
si spiega a sua volta con la marginalizzazione di questi temi di ricerca, che non può non
riflettersi su un’opera di sintesi a carattere generale.
Tale è infatti il taglio del libro, che è rivolto anzitutto a un pubblico di non addetti ai
lavori, come mostrano l’assenza di note e un linguaggio non accademico, vivace e a tratti
colorito. Ciò non impedisce all’a. di estendere all’intera storia del partito l’interpretazione
di Falce e martello, centrata su un aspetto minimizzato dalla storiografia «militante» a cui
si deve gran parte degli studi sulla storia del Pci (e a cui appartennero lo stesso Andreucci
e chi scrive): il suo legame con l’Unione Sovietica e il suo stalinismo. Il rilievo attribuito
a questi aspetti porta l’a. a dedicare ampio spazio alla storia del movimento comunista
internazionale, che viene approfondita forse più di quella italiana, ma la sua polemica con
la storiografia tradizionale non lo induce a sottovalutarne le acquisizioni.
Andreucci mostra cioè come a un’elaborazione politico-culturale per molti versi in-
novativa e di notevole spessore corrispondesse nella storia del Pci un’opera di propaganda
centrata sul «legame di ferro» con il Partito dell’Unione Sovietica e con il mito dell’Urss.
Di tale efficacia, quell’opera, che fu la base del partito a condizionare nel 1968 la presa di
distanza del gruppo dirigente dall’invasione della Cecoslovacchia, quando era già iniziata
una più compiuta integrazione del partito nella società italiana.
Su queste basi l’a. rivede in modo sostanziale l’immagine di Togliatti, già protagoni-
sta del così detto allineamento e della stalinizzazione del Pci nel 1928, il quale nel 1956 si
espresse a favore dell’intervento sovietico in Ungheria e «resisté» sino alla fine alla destali-
nizzazione del suo partito. Al riguardo Andreucci è anzi tanto esplicito da qualificare «sui-
cide» le scelte del Pci dopo il XX Congresso del Pcus, che a suo parere fecero della stessa
«via italiana al socialismo» una petizione di principio più che un’efficace linea politica.
Molto critica nei confronti di una tradizione di partito in cui si fondevano storia e
memoria, l’opera mostra come nella parabola della storia del Pci dal 1921 al 1991 convi-
vessero «nobiltà» e «miseria», ovvero (come personalmente preferirei dire) non poche luci
e altrettante ombre.

Tommaso Detti