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Dalla bottega al carcere fascista. Storia di tre ragazzi livornesi

Renzo Bacci
Firenze, Polistampa, 192 pp., € 15,00

Anno di pubblicazione: 2013

Attraverso il ricordo di tre giovani livornesi negli anni della seconda guerra mondiale,
il libro approfondisce una pagina della storia della città labronica, stimolando la
riflessione su un passaggio delle vicende nazionali e intendendo, allo stesso tempo, «trasmettere,
specie alle nuove generazioni, il ricordo e il senso della lotta portata avanti da
tanti giovani contro un regime potente da sembrare allora invincibile alla maggioranza
della popolazione» (p. 7).
Strutturato in un saggio di circa 75 pp. e in una ricca appendice documentaria, il
testo ripercorre la storia di Giovanni Geppetti, Nelusco Giachini, Bino Raugi, tre «ragazzi
di famiglie proletarie» (p. 19) che pur «non provenendo da famiglie con una loro attiva
militanza politica […] vivono nel quartiere una naturale avversione al fascismo derivata
anzitutto dalle difficili condizioni di vita» (p. 22), che li porta a opporsi al regime. Iniziano
legando una bandiera rossa alla scalinata del Comune il 9 maggio 1942. Quindi
producono volantini, scritte sovversive sui muri, fino alla cattura ai primi d’aprile del
’43. Sono trasferiti in carcere, a Roma, dove hanno contatti con le strutture clandestine
del Partito comunista che avevano ricercato nei mesi precedenti senza esiti significativi.
In seguito partecipano alla Resistenza e sono protagonisti della vita del Pci labronico.
Seguendo le loro vicende, il volume mette in luce il processo di progressiva disgregazione
del rapporto fra il regime e la popolazione, di cui sono tratteggiate le difficili condizioni
di vita negli anni della guerra.
In appendice sono riprodotti 66 documenti tratti dalle carte di Questura e Prefettura
conservate presso l’Archivio di Stato di Livorno. Questo ricco apparato documentario
può costituire uno strumento didattico per avvicinare gli studenti alla conoscenza di questa
pagina della storia attraverso l’analisi diretta delle fonti.
Concludendo, se è vero, come sottolinea Paolo Pezzino nella Prefazione, che l’a. ha
ricostruito queste vicende «con grande rigore di ricerca archivistica e con una narrazione
vivace e partecipata» (p. 9), tuttavia appare certamente un limite il mancato confronto
con la più recente storiografia, che avrebbe potuto favorire un approfondimento dei temi
trattati, a partire dall’analisi delle dinamiche e delle forme dell’antifascismo popolare, e
una contestualizzazione più articolata di questioni complesse quali, ad esempio, il rapporto
fra Chiesa cattolica e regime e in particolare la figura del vescovo Piccioni, tratteggiata
in modo eccessivamente schematico (pp. 54-56). Il riferimento ai più recenti studi sulla
Livorno fascista sarebbe stato utile per inquadrare le vicende ricostruite, evidenziando
la specificità del caso labronico sia nel corso del ventennio che negli anni della guerra.
Il libro è un contributo importante alla conoscenza della storia livornese e nazionale ed
esprime un chiaro e appassionato messaggio civile a continuare a far vivere memorie e
valori dell’antifascismo. Appello che non perde certo di attualità a settanta anni dalle
vicende descritte.

Matteo Mazzoni