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Dalla Maiella alle Alpi. Guerra e resistenza in Abruzzo

Costantino Felice
Roma, Donzelli, 463 pp., € 32,00

Anno di pubblicazione: 2014

Costantino Felice, docente di storia economica presso l’Università di Chieti e già autore di numerosi volumi sull’Abruzzo in guerra, fornisce un importante contributo per superare l’immagine di un movimento partigiano diffuso soltanto nell’Italia centro-settentrionale.
Felice documenta la genesi del movimento partigiano nella sua regione, sottolineando la specificità della duplice presenza di molti campi di prigionieri nemici nonché di diverse formazioni militari. Militari sbandati ed ex prigionieri alleati sono alla base dei primi piccoli gruppi di resistenti che lottano da subito come a Bosco Martese, sia pure con esito disastroso contro i tedeschi, i cui comportamenti alimentarono un diffuso sentimento di ostilità per via delle razzie, dei saccheggi e degli spostamenti violenti della popolazione, culminati nella strage di Pietransieri, che con i suoi complessivi 127 morti resta l’eccidio nazista più grande dell’Italia meridionale.
Dinanzi a simili comportamenti, specie nelle aree contigue al fronte, i giovani del posto praticarono diverse forme di opposizione anche armata nei confronti dei soldati tedeschi. Se inizialmente la speranza fu quella di liberare presto i paesi d’origine, come nel fallito caso di Lanciano, con lo stabilizzarsi del fronte l’obiettivo primario divenne fermare la politica di «terra bruciata» nazista. Ovviamente, non mancarono singoli elementi politicizzati o più in generale persone oramai decise a combattere per far finire la guerra voluta dal fascismo. Da qui il diffondersi di molte, anche se piccole, bande di resistenti, le quali collaborarono strettamente con gli anglo-americani, venendo da questi ultimi chiamati a «snidare il nemico, a farlo uscire allo scoperto, costringendolo a ritirarsi dagli ultimi fortilizi senza arrecare eccessivi danni» (p. 331).
Fu questo il compito della più grande e famosa formazione abruzzese, la brigata Maiella, che risalì la penisola incorporata nelle file degli Alleati, fino alla caduta della linea Gotica. Proprio la vicenda della Maiella e la tendenza, retrospettiva, di ricondurre alla sua organizzazione altre bande abruzzesi, porta Felice a illuminare un aspetto assai interessante, vale a dire l’estrema articolazione e fluidità dei gruppi di resistenti, i quali si muovevano, spesso, in maniera autonoma l’uno dall’altro o comunque in assenza di un comando centralizzato. Ci pare questo un dato cruciale che permette di evidenziare l’esperienza meridionale di opposizione anche armata a tedeschi e fascisti, e al contempo distinguerla dallo sviluppo politico e organizzativo che il movimento partigiano ebbe nel Nord nel 1944. Si comprende allora meglio la sterilità di molte ricostruzioni locali incentrate su una lettura politico-partitica del partigianato abruzzese, che ha finito per dare forza, con le sue incongruenze, all’opposta tendenza delegittimante della resistenza locale, ridotta, secondo tale visione, nel migliore dei casi a giovani incoscienti e sconsiderati se non a veri e propri banditi e opportunisti.

Tommaso Baris