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Dalla patria allo Stato. Bertrando Spaventa, una biografia intellettuale

Fernanda Gallo
prefazione di Maurizio Viroli, Roma-Bari, Laterza, 161 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2013

Nella opinione corrente la figura di Bertrando Spaventa (1817-1883) riporta a un consolidato stereotipo interpretativo: quello di un hegeliano a ventiquattro carati. Un’ascendenza ideale che si sarebbe riverberata non solo sulla sua filosofia, riconducibile a un idealismo scolastico, ma avrebbe largamente condizionato anche le sue concezioni politiche. Sotto questo profilo Spaventa andrebbe classificato come un convinto statolatra. In sostanza, il più autorevole antecedente teorico dello Stato etico gentiliano. Il libro di Fernanda Gallo ci restituisce un quadro più articolato, sfumato e, soprattutto, attendibile della riflessione spaventiana. La ricerca, infatti, non ha un taglio astrattamente teoretico, ma è volta a ripercorrere la biografia intellettuale del filosofo abruzzese, riportando i suoi scritti, anche quelli di maggior spessore concettuale, al contesto da cui traggono la loro originaria motivazione.
Esemplare, sotto questo profilo, è il paragrafo in cui si analizza la formazione di Spaventa, disegnando un panorama in cui i punti di riferimento principali sono pensatori italiani come Pasquale Galluppi e Ottavio Colecchi. Un tornante nella vicenda (intellettuale non meno che biografica) spaventiana è segnato dagli esiti della rivoluzione del 1848. Agli avvenimenti dell’annus mirabilis Spaventa partecipa a Napoli. A questa data il suo patriottismo liberale si muove ancora in un orizzonte napoletano. La brutale repressione del 1849 lo convince che il rinnovamento politico potrà essere perseguito solo nell’orizzonte dell’intera penisola. Con un percorso che è comune a tanti altri patrioti, Spaventa è parte dell’emigrazione piemontese, vivendo l’esperienza di vita pubblica libera e condividendo il clima di fervorosa attesa che caratterizza il decennio di preparazione.
In questo modo, seguendo le tappe della vita di Spaventa, profondamente segnate dalle vicende politiche del tempo, lo stereotipo pian piano si dissolve lasciando spazio a una corposa realtà patriottica. Il riscatto nazionale che era la speranza di quella generazione, non andava perseguito solo per via politica (fosse questa pubblicistica, diplomatica, militare o insurrezionale), ma richiedeva un’opera tenace di rischiaramento intellettuale. In altri termini, perché la nuova nazione che stava nascendo non fosse un acquisto effimero, ma potesse durare, occorreva dare coscienza all’Italia delle sue tradizioni di pensiero. A questo compito Spaventa dedicò le sue energie intellettuali e in esso trasfuse la sua passione civile. Da qui gli studi volti a valorizzare autori come Giordano Bruno, Tommaso Campanella, Giovanbattista Vico, una galleria di pensatori per fornire alla nuova nazione un adeguato pedigree intellettuale e morale che le avrebbe dato modo di non sfigurare nel contesto europeo.
In questo quadro anche l’insistita rivendicazione del ruolo dello Stato non assume una coloritura illiberale ma va riportato alla koinè risorgimentale. In quella temperie politica e culturale, l’indipendenza nazionale, l’edificazione statuale e gli ideali liberali e costituzionali erano sentiti come un tutto unico.

Maurizio Griffo