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Daniela Luigia Caglioti – Vite parallele. Una minoranza protestante nell’Italia dell’Ottocento – 2006

Daniela Luigia Caglioti
Bologna, il Mulino, 376 pp., euro 28,00

Anno di pubblicazione: 2006

Sin dagli anni della dominazione francese, tra 1809 e 1815, nel Regno di Napoli (nella capitale o a Salerno) comincia a formarsi una comunità di imprenditori stranieri, il cui nucleo principale è costituito dagli svizzeri e dai tedeschi, sebbene ci siano anche francesi e inglesi. È una presenza importante, perché questi imprenditori svolgono ? fino alla prima guerra mondiale ? un ruolo di primo piano nell’evoluzione dell’economia meridionale. Come hanno vissuto? Checosa hanno fatto? Che contributo hanno dato al trasferimento di culture e tecnologie?Sono queste le domande a cui dà risposta il libro di Gia Caglioti: ben strutturato e, soprattutto, poderosamente documentato, con ricerche condotte non solo negli archivi italiani, ma anche in quelli inglesi, o in quelli svizzeri, dove si trova la documentazione relativa a diverse delle famiglie studiate. La ricerca segue gli imprenditori stranieri dalla loro migrazione originaria, al formarsi di una più ampia comunità insediata a Napoli; ne interroga le scelte economiche e sociali, ne segue le strategie matrimoniali, e ne osserva l’integrazione nel contesto sociale e istituzionale del Mezzogiorno ottocentesco.Il quadro che emerge dalla ricostruzione è piuttosto netto. Una caratteristica propria di questa comunità di imprenditori è la quasi ermetica chiusura alla società meridionale. Strategie matrimoniali endogamiche, creazione di istituzioni proprie, conservazione di tradizioni religiose difformi da quella cattolica e di pratiche culturali autonome (lo studio e l’uso quotidiano della lingua di origine), la descrivono come una costellazione di famiglie che fanno della separatezza la loro cifra identitaria più profonda. Questo aspetto ha due ulteriori importanti conseguenze: da un lato, il contributo che questi uomini e queste donne danno al trasferimento di tecnologie e culture nella società che li accoglie è molto basso, diversamente da ciò che succede in altri contesti (per esempio nelle omologhe comunità imprenditoriali straniere di Milano, Bergamo o Torino); dall’altro lato, è ? in una certa misura ? proprio questa difesa di una loro diversità identitaria a stimolarne le energie e le abilità imprenditoriali (un dato questo che va messo accanto alla loro capacità di intrattenere rapporti con le aree di origine, e da lì, con altre comunità di imprenditori della stessa area, lingua, religione, sparse per l’Europa).La Grande guerra, quando le lealtà patriottiche diventano motivo di discriminazione aggressiva, costringe o induce molte famiglie straniere (in primo luogo, ovviamente, quelle tedesche) ad abbandonare il Mezzogiorno e a far ritorno in patria: e quando non tornano le persone, torna comunque la loro memoria. Come osserva suggestivamente Gia Caglioti in una notazione conclusiva, «l’ultimo atto di sfiducia nei confronti della patria adottiva, l’estrema resistenza all’integrazione furono affidati agli archivi familiari» (p. 307), che, man mano, tornano a San Gallo, a Frauenfeld, a Coira o a Zurigo, concludendo anche simbolicamente un tracciato di chiuse «vite parallele», snodatosi per più di un secolo.

Alberto Mario Banti